Serie 5 -
Ad Una Mente
Fra Dio E L'Uomo
STUDIO
7
IL
MEDIATORE DELL’AD-UNA-MENTE
FIGLIUOLO
DELL’UOMO
Fra
i numero si titoli, conferiti a Gesù, quello del “Figliuolo dell’uomo” fu uno dei tanti col quale Egli
usava designarsi. Per questa
sua predilezione, alcuni furono propensi a credere che egli fosse il
figliuolo di Giuseppe, ma errarono. Egli
non riconobbe mai Giuseppe come padre suo, e, nel designarsi “Figliuolo
dell’uomo,” non si riferiva solo alla vita umana—terrena—ma, anche,
alla presente gloriosa sua condizione.
In conseguenza, alcuni hanno opinato—scivolando da un estremo,
all’altro—che nostro Signore, al presente, sia un uomo nei cieli e,
cioè, che conserva la natura umana.
Tale concezione, come dimostreremo, è priva d’una base
attendibile ed è un errato intendimento del significato di “Figliuolo
dell’uomo.” Infatti, è
importante rilevare che la nostra asserzione si fonda sull’intera
corrente degl’insegnamenti biblici.
Le Scritture pongono in rilievo che Gesù abbassò se stesso, nel
prendere la natura umana, non in eterno, ma al
solo scopo di effetture la redenzione dell’uomo, pagando il suo
riscatto, onde—incidentalmente—provare la sua fedeltà al Padre. Perciò, subito dopo, fu supremamente innalzato, non solo
alla gloria, che godé presso il Padre, prima che il mondo fosse, ma ad
una gloria più eccellente, al di sopra degli Angeli e di ogni Principato,
potestà e potenza—alla natura divina, alla destra del Padre, al posto
più favorito della Maestà di Dio, nei cieli.
Si
notino attentamente quelle volte in cui nostro Signore uso questo titolo:
“Ill
Figliuolo dell’uomo mandera i suoi angeli,” riferendosi al tempo della
mietitura (Matt. 13:14);
“Lo
stesso sarà al tempo della presenza ‘del Figliuolo dell’uomo,’
[134] al tempo della mietitura che è la fine della presente età”
(Matt. 24:27,37);
“quando
il Figliuolo dell’uomo verrà nella sua gloria, avendo seco i santi
angeli” (Matt. 25:31);
“il
Figliuolo dell’uomo si vergognerà di lui quando sarà venuto nella
gloria del Padre suo con i santi Angeli” (Marco 8:38);
“e
che sarebbe se vedeste il Figliuolo dell’uomo ascendere dove era
prima?” (Giov.6:62); “colui
che è disceso dal cielo: il Figliuolo dell’uomo” (Giov. 3:13).
Questi
versetti identificano nelo “Figliuolo dell’uomo”: il Signore nella
gloria; l’uomo Cristo Gesù; colui che offrì se stesso in sacrificio ed
il preumano Logos (la Parola), che scese dal cielo e si fece carne.
I Giudei non pensavano che il titolo “figliuolo dell’uomo” si
riferisse al figliuol di Giuseppe, o a guello che avesse ricevuto la vita
da un padre terreno. E ciò
risulta dalla costatazione della loro indagine, allorché dicevano:
“noi abbiamo udito dalla Legge che il Cristo dimora in eterno,
come dici tu che bisogna che il Figliuolo dell’uomo sia innalzato?
Chi è questo Figliuolo dell’uomo?
(Giov. 12:34). I
Giudei, evidentemente, nell’expressione “Figliuolo dell’uomo”
identificarono l’atteso Messia, basando indubiamente, la loro
identificazione, in gran parte, su questa dichiarazione di Daniele,
7:13-14, “io guardavo nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle
nuvole del cielo uno simile ad un figliuolo dell’uomo; egli giunse fino
al Vegliardo, e fu fatto accostare a lui.
E gli furono dati dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli,
tutte le nazioni e lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio
eterno che non passerà, e il suo regno, un regno che non sarà distrutto.”
Gesù identificò se stesso in questa descrizione, come rileviamo
in Apocalisse, 4:14. Ivi, Egli presenta se stesso come l’uno, “simile al
Figliuolo dell’uomo, avendo sul capo suo una corona d’oro, e nella sua
mano una falce tagliata”: il
Capo mietitore al tempo della mietitura, alla fine dell’età Evangelica.
Purtuttavia,
benché siamo consapevoli che, in niun senso, si referisce al figliuolo di
Giuseppe, e, benché abbiamo la prova conclusiva che la natura umana fu
presa da Gesù per proposito [135] temporaneo e, poi, sacrificata per
sempre, in quanto, ora, Egli è uno spirito vivificante del più alto
ordine di vita (Ebrei 2:9, 16; Pietro
3:18; Giov. 6:51; Filip.
2:9), pure sorge ancora questo quesito:
Perché nostro Signore scelse l’uso di tal nome, o titolo? Non possiamo arguire che Egli lo usasse senza uno ragione
specifica, poiché, abbiamo sempre rilevato che ogni titolo di nostro
Signore—quando ne è compreso il significato—esprime un chiaro
concetto.
L’uso
di questo titolo ha una ragione importantissima: esso sta a rammentare ed indicare il più alto onore
conseguito da Gesù, per la Vittoria riportata, nella fedeltà, umiltà ed
ubbidieza a tutti gli ordinamenti del Padre celeste, fino alla morte—la
morte sulla croce—per la quale conquistò il diritto a tutti i presenti
e futuri onori, glorie, dignità, e la natura divina.
A questo titolo, “Figliuolo dell’uomo” si referivano angeli
ed uomini, per porre in risalto la grande umiltà dell’Unigenito e
gl’immacolati principi del governo divino, racchiusi nella locuzione
“colui che s’innalza sarà abbassato e clui che si abbassa sarà
esaltato.” Così, ogni
volta che sarà usato, questo nome indicherà dettagliate e valide
istruzioni per tutti coloro i quali devono essere istruiti, da Dio e
desiderano onorarlo ed adempiere quanto a Lui è gradito.
Nello
stesso senso, in cui nostro Signore fu della “progenie di Davide” e
della “progenie di Abrahamo, Isacco e Giacobbe,” lo fu anche della
“progenie di Adamo,” a mezzo di madre Eva.
Eppure, come già abbiamo messo in rilievo, fu “innocente e
separato dai peccatori.” La
“progenie della donna” è indicata quale antogonista a quella del
serpente. Tuttavia, non abbiamo la minima indicazione che Eva avesse
avuta una progenia distaccata, da quella di suo marito, Adamo.
E, come è appropriato a nostro Signore, per indicarlo della
“progenie di Davide,” così è appropriato pensare che egli è della
progenie di Adamo, a mezzo di Eva, per cui crediamo che il titolo
“Figliuolo dell’uomo” racchiuda tale concetto.
Adamo,
come padre—e donatore di vita della razza—venne meno, nel provvedere
una vita duratura alla sua progenie, a causa della sua disubbidienza;
purtuttavia, la promessa divina, al tempo [136] in cui il Messia sarebbe
venuto, identificandosi come membro della razza Adamica e redimerla, fu
attesa con ansia ed attenzione. Adamo
fu l’uomo preminente, poiché in lui risiedevano i diritti del dominio
della terra. Notisi la
profezia in riferimento di Adamo: “Cos’è
l’uomo che tu ne abbia memoria? ed il Figliuolo dell’uomo che tu ne
prenda cura? Eppure tu
l’hai fatto poco minor di Dio, e l’hai coronato di gloria e d’onore.
Tu l’hai fatto signoreggiare sulle opere delle tue mani, hai
posto ogni cosa sotto ai suoi piedi: pecore buoi tutti quanti ed anche le
fiere della campagna; gli uccelli del cielo ed i pesci del mare, tutto
quello che percorre i sentieri dei mari”
(Salmo 8:4-8).
Questi
diritti di dominio e Regno sulla terra, caddero in disordine a furono
perduti a mezzo del peccato, però divennero parte di quanto fu redento
dalla grande offerta per il peccato.
Ecco, com’è, in proposito, detto da Gesù:
“A te l’antico dominio, il Regno che spetta alla figliuola de
Gerusalemme” (Michea 4:8). Così, notiamo che la speranza del mondo, secondo
l’ordinamento divino, si fondò sulla venuta del gran figliuolo di
Adamo, di Abrahamo, di Davide e di Maria.
Come abbiamo già notato, un genero o un figliuolo, secondo la
Legge, nel divino ordinamento, entra nel numero dei membri d’una
famiglia, col diritto di riscattare o riprendere delle possessioni perdute,
o abbandonate, da altri familiari. Nel
caso di nostro Signore Gesù, abbiamo chiaramente notato che la sua vita
non fu originata da genitori terreni, ma che Egli fu, nel principio, la
Parola (dal greco Logos) e che, poi, ricevé l’organismo da Maria e la
vita da Dio.
Più
studiamo questo soggetto e più, quanto andiamo dicendo, appare chiaro:
poiché, colui che ha studiato il greco, in tutti gli esempi in cui
nostro Signore impiega l’espressione “il Figliuolo dell’uomo” può
rendersi conto, senza pena, che l’adopera in maniera enfatica:
però, non rilevandosi tale maniera nella traduzione inglese, per
porla in risalto, dovrebbe essere espressa nel sottolinear i due articoli
“il” e “del” così: “Il
Figliuolo dell’uomo.” Nostro
Signore aveva un diritto indiscutibile a questo titolo.
Siccome Adamo solo fu perfetto e tutti i discendenti suoi degeneri,
eccetto questo solo figlio, il quale da se stesso consentí divenire [137]
membro della razza di Adamo, per essere il Redentore di tutti i
possedimenti che essa aveva perduti, così, allorcché Gesù compì
l’atto di redenzione della razza e la liberò dalla maledizione, o
sentenza di morte, acquistò, in maniera legale ed indiscutibile, il
titolo, o diritto, d’essere “il figlio dell’uomo.”
Questo
titolo appartenne in tutta legittimità a Gesù, non solo durante il tempo
in cui diede la sua vita “in riscatto per tutti,” ma gli appartiene
legittimamente, durante l’Età presente dell’Evangelo, in cui
progredisce la selezione di coloro i quali lavorano con Lui, per
realizzare il grandioso programma della restaurazione di tutte le cose.
E questo titolo apparterrà ancora legittimamente a Lui, nostro
Signore, durante il periodo del Suo Regno Millenario, allorché egli, il
Figliuolo dell’uomo (figliuolo d’Adamo, ora innalzato divinamente),
proseguirà l’opera di restaurazione “la redenzione [liberazione] del
possedimento acquistato” – Efes. 1-14; Ruth 4:1-10.
L’UOMO CRISTO BESÙ, QUALE SE LO RAFFIGURANO
GL’INCREDULI
Non
solo i suoi seguaci hanno riconosciuta la sapienza e la grazia di Gesù,
oltre a notare quanto e, come era “pieno di Spirito di Dio,” ma anche
i suoi oppositori lo riconobbero di gran lunga superiore ed al di là di
qualsiasi altro membro della razza. Infatti,
leggiamo “tutti gli rendevano testimonianza e si meravigliavano delle
parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” (Luca 4:22).
Altri dissero: “Nessun
uomo parlò mai come quest’uomo” (Giov. 7:46).
Pilato, non volendo disstruggere la vita del più nobile Giudeo,
che mai avesse visto, ed intuendo che il popolo era istigato dagli scribi
e dai Farisei, invidiosi della popolarità di Gesù, provò—in
definitiva—di placare l’odio e l’ira della motitudine.
Perciò, nell’ordinare che Gesù fosse condotto dinanzi ai suoi
accusatori, evidentemente, dovette sperare che costoro, dando uno sguardo
a quella nobile figura, si sarebbero ammansiti ed avrebbero disistito
dall’ira e dalla malvagità che loro erano state sobbillate.
Egli lo presentò, esclamando:
“Ecco l’uomo” e sottolineò con enfasi l’articolo [138]
“lo,” quasi a dir loro: l’uomo, che voi volete che io faccia
crocifiggere, è, per eccellenza, “lo Giudeo fra gli Giudei,” ed anche
“l’uomo fra gli uomini.” Riguardo
all’umana sembianza di Gesù, Giovanni disse:
“La Parola è stata fatta carne ... e noi abbiamo contemplata la
sua gloria, gloria come quella dell’Unigenito, pieno di grazia e di Vertà”
(Giov. 1:14, 19:5).
In
connessione a quanto abbiamo enunciato, riportiamo gli elogi del famoso
filosofo Rousseau, sul soggetto il “Figliuolo dell’uomo.”
Egli scrisse:
“Quanto
piccoli sono i libri dei filosofi e tutte le loro pompe, in paragone
dell’Evangelo! Può mai
arguirsi che scritti tanto sublimi e semplici siano opera d’uomo? o che colui la cui vita essi descrivono, non sia più che un
uomo? Ed esiste, nel suo
carattere, la minima parte di ambizione settaria?
Si rilevi la dolcezza, la purità e la grazia profusa nei suoi
insegnamenti e la profonda sapienza nelle sue parole.
Che mente! E che
adattamenti alle sue risposte! Che
potenza imperativa sulle proprie passioni!
Dov’è l’uomo, il saggio in grado di perfezionarsi, soffrire e
morire, senza dimostrare alcuna debolezza?
Amici cari, l’uomo non può inventare fatti simili; ed i fatti,
citati su Socrate, che niuno pone in dubbio, non sono tanto bene attestati,
quanto quelli che concernono Gesù. Quei Giudei non avrebbere mai potuto assimilare dei pensieri
di tanta elevatezza morale. E,
poi, l’Evangelo ha delle caratteristiche tanto veritiere, umanitarie,
penetranti e perfettamente inimitabili, che, pur volendo ammetterle
qual’inventate, come asseriscono dei miscredenti, bisognerà sempre
riconoscere che coloro i quali hanno stilato l’Evangelo, sono e saranno
degli esseri meravigliosi.”
Anche
Napoleone Bonaparte ci tenne ad elogiare il soggetto sul “Figliuolo
dell’uomo” e scrisse:
“Dal
principio alla fine, Gesù è lo stesso, sempre lo stesso:
maestoso e semplice, infinitamente severo ed infinitamente gentile.
Egli passò tutta la sua vita in presenza di un numeroso publico,
ma niuno ebbe mai l’occasione di riscontrarlo in difetto.
La prudenza della sua condotta ci obbliga ad ammirare
l’accentramento di forza e gentilezza in lui:
sia nei suoi atti, che nell’oratoria. [139] Egli è
brillantissimo, consistente e calmo. E notorio che la sublimità è da attribuirsi alla divinità:
e quale nome, allora, dobbiamo dare a Colui il cui carattere congiunge e
raggiunge tutti gli elementi del sublime?
“Io
ho un buon comprendimento degli uomini e, perciò, posso dirvi che Gesù
non fu un uomo. In tutte le
sue azioni Egli m’impressiona. Paragonarlo
a qualunque essere umano è impossibile ed inammissibile.
Veramente Egli è un essere unico in se stesso. Le sue idè e sentimenti; la Verità che annunziò; il suo
modo di conferire costituiscono elementi che vano oltre ed al di là
dell’ordine naturale delle cose umane.
La sua nascita la storia della sua vita; la profondità della sua
dottrina, la quale supera tutte le difficoltà, nel modo più perfetto; il
suo Evangelo; la sigolarità del suo misterioso essere; la sua apparenza;
il suo imperio; il suo progresso, attraverso numerosi secoli e tanti regni,
costituisce per me un formidabile mistero.
Io non veggo in Lui alcunché di paragonabile all’uomo e, pur
eseguendo una strettissima indagine, ed estendendomi ad estremi analisi,
tutto resta e risulta incomparabile e supremo in grandiosità, tanto e
tant, da annichilirmi! Il mio
riflettere è vano, rispetto alla incommensurabile maestà dell’Uomo.
Invito chiunque a citarmi una vita simile a quella di “Cristo!”
È
indiscutibile. La verità è
più forte della mensogna. E
l’uomo perfetto, Gesù, Unto dallo Spirito dall’alto, fu tanto diverso
dall’imperfetta razza Adamica, alla quale prese parte, a scopo di
redimerla, che rende scusabile il mondo di avergli chiesto se egli era più
che uomo. Certo, Egli fu più,
molto più di un semplice uomo—molto più in alto di un uomo peccatore—in
quanto, separato dai peccatori e, quale uomo perfetto, fu l’essatta
immagine e somiglianza di Dio invisibile.
“NON AVEVA FORMA NÈ BELLEZZA DA ATTRARRE
I NOSTRI SGUARDI”
“Chi ha creduto ha quello che abbiamo
annunziato? e a chi è stato
rivelato il braccio dell’Eterno? Come
una radice che esce da un arido suolo; non aveve né forma né bellezza da
attirare i [140] nostri sguardi, né apparenze da facelo disiderare. Disprezzato ed abbandonato dagli uomini, uomo di dolore,
familiare col patire” (Isaia
53:2-3).
Alcuni
pensano che questi versetti indicano che l’apparenza personale di Gesù
fu inferiore a quella di altri uomini e considerano ciò qual prova che
egli non fu un essere separato dai peccatori, ma, anzi, partecipe del
peccato e della degenerata condizione.
Noi rigettiamo questa errata opinione, e, come l’intera
testimonianza bibilca pone in luce, tenteremo dimostrare, con citazioni
Scritturali, la verità, senza far violenza ai giusti prinicpii ed
interpretazioni.
Come
esistono varii generi di onestà, bellezza, mansuetudine ed altre virtù,
o pregi, anche gl’ideali dei popoli variano e differiscono gli uni dagli
altri.
L’ideale
della bellezza, soddisfacente per dei barbari, risulta ripugnante ai
popoli più civilizzati. I
guerrieri indigeni si pitturavano in rosso e giallo e si adornavano con
delle piume colorate e con delle collane di conchiglie, cingendosi di
pelli, ancora sanguinolenti, Ora, tali usanze potrebbero essere ancora
l’ideale di certuni selvaggi odierni.
Altri popoli ammirano i loro pugili quasi nudi nelle arene, o i
lussureggianti vestiti dei matadori nelle corride dei tori, nonché
tant’altre manifestazioni che prediliggono, mentre dei popoli più
civili si disgustano, solo a sentirsele descrivere. Così, gl’ideali variano, secondo le circostanze e gli
ambienti. Giacché le
Scritture, concernenti le sembianze di Gesù, al suo primo avvento, non ne
esaltano i pregi, è da dedurre che essi non corrispondevano agl’ideali
del popolo Giudea. E tale
assunto diviene evidente, quando Pilato, nel presentare Gesù al popolo,
dicendo “Ecco l’uomo,” i Giudei gridarono forte “crocifiggilo,
crocifigglio! noi non abbiamo altro re, oltre Cesare!”
Dobbiamo
ricordarci che, al tempo del primo avvento, la nazione Giudea era
assoggettata al dominio romano ed era stata “calpestata dai Gentili,”
per più di seicento anni. Dobbiamo
anche rammentare che le speranze d’Israele, generate dalle promesse
fatte da Dio, ad Abrahamo, Isacco, Giacobbe, e ripetute da tutti i profeti,
risiedevano nell’attesa che Iddio avesse mandato, al [141] proprio temp,
il Messia l”unto di Dio, un più grande legislatore di Mosè, un
generale più grande di Giosué ed un gran re, più grande di Davide e
Salomone. Di conseguenza
Israele, in quel tempo, aspettava il Messia, secondo il proprio ideale:
per cui, quando fu loro annunziato che Gesù era il Messia, restarono
tutti assai delusi, in quanto lo trovarono assai differente da quanto si
attendevano, ed i loro cuori ebbero vergogna di lui, in special modo i più
preminenti della nazione, la cui guida il popolo seguiva—Luca 3:15.
Essi si
aspettavano un gran generale, un re, un legislatore pieno di durezza,
dignità, ambizioni, prodezze, nonché forte e dominatore, in parole e
fatti. Questo era il loro
ideale, circa le doti e qualifiche del Re ch’attendevano ed avrebbe
dovuto conquistare il mondo, ponendo la nazione d’Israele a capo
d’esso. Testimoni, pio,
della prodezza, arroganza ed insolenza di Erode, scelto dall’Imperatore
qual re su di loro, avevano appreso a conoscere i generali, i governatori
i centurioni, ecc. ed immaginavano che l’Imperatore Romano, innalzato al
di sopra di tutti nell’impero, aveva ottenuto tale carica, poiché
possedeva al più alto grado le qualità che essi stessi preferivano: e,
conformandosi a queste qualità, si attendevano che il Messia ne avesse
possedute molte in più e, ad un grado di maggior elevatezza, poiché
doveva rappresentare la dignità, la gloria e l’onore, assai più grandi
ancora, della Corte Celeste, la cui autorità avrebbe dovuto esercitare
sulla terra.
Non è
da meravigliarsi, quindi, se, in tal aspettazione non si trovarono pronti
ad accettare l’umile Nazzareno, che ammetteva accompagnarsi con i
peccatori ed i pubblicani ed il cui armamento, per conquistare il mondo,
era la “spada della sua bocca.” Né
c’è da meravigliarsi se, quando fu annunziato quale speranza
d’Israele, Re dei Giudei, il Messia, tutti gli voltarono le spalle.
No! Non c’è
assolutamente da meravigliarsi, perché la loro aspettazione agognava, da
ben lungo tempo, risultati assai differenti e, perciò, restarono
tristemente delusi, fino al punto di vergognarsi a riconoscere “Gesù Re
dei Giudei.” Essi non furono soddisfatti della sua dignità della sua
bellezza, degli onori che niuno gli tributava, né [142] ravvisarono in
Lui un soldato od un statista, che avesse potuto beneficare la loro
nazione, concretando le loro aspirazioni.
Ah, si! lo stesso avviene ad una classe esistente oggi, la quale—aspettando
il secondo avvento del Messia—concesse pieno credito ed edificò sulle
aspettanzioni dei loro anziani (secondo le tradizioni), proprio come i
Giudei, negligenti nell’investigare le Scritture, onde rendersi edotti
su quanto concerneva “la loro salvezza.”
Sembra
evidente che, all’apparenza di Gesù, poco desiderabile agli occhi degli
Ebrei, a questa mancanza d’ “onore” (bellezza) di Gesù, il profeta
faccia allusione. Sarebbe
illogico di tradurre e d’interpretare la profezia, contrariamente ai
fatti della storia, ammessi quali essendo il suo adempimento, né senza
tener logicalmente conto dell’affermazione ripetuta della sua purità,
come Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, con la sua purità,
santità, innocenza—immacolato e separato dai peccatori.
“TANTO ERA DISFATTO IL SUO SEMBIANTE”
—Isaia 52:14, 15—
Di
nuovo, quì, un’errata traduzione deforma il concetto circa
l’apparenza di nostro Signore. Eppure,
anche il lettore, dotato della minima perspicacità, raffigurandosi dei
volti umani disfatti da deboscia, accidenti o malattie, non arriverà a
rendersi conto di come e quanto il sembiante di nostro Signore poteva
essere divenuto tale da “non parer più un uomo.”
Evidentemente, questa dichiarazione è incoerente, pioché, se ciò
fossè stato, Pilato non lo avrebbe presentato al popolo, dicendo “Ecco
l’uomo,” né il popolo comune avrebbe potuto entusiasmarsi tanto, da
accoglierlo come figliuolo di Davide e pensare di farlo suo re.
Inoltre, non abbiamo appreso dalle Scritture che neanche uno delle
Sue ossa fu rotto? Quanto più
logica e coerente diverrebbe questo dichiarazione profetica, rispetto ai
fatti storici della Bibbia ed alle ragionevoli deduzioni che se ne
traggono, circa la su a santità e purità, se la dichiarazione (Isaia
52:14-15), fosse stata stilata nel seguente modo:
“Come
molti, vedendolo, sono rimasti sbigottiti (tanto era [143] stato disfatto
il suo sembiante ed il suo aspetto dai figliuoli degli uomini), così
molti saranno i popoli nei quali Egli desterà l’ammirazione.” Come il popolo dei suoi giorni fu sorpreso, nel vederlo
sottomettersi ai dileggi di coloro che lo coronorano con le spine, lo
schiaffeggiarono, gli sputarono addosso, lo crocifissero e trafissero; così
altri popoli—ora e nel futuro—apprendendo come Egli “sostenne una
tale opposizione dei peccatori contro a se” (Ebrei 12:3), si
meravigliano e si meraviglieranno della grande pazienza ed umiltà sua.
“I re
chiuderanno la bocca, poiché vedranno [illustrato in Lui dall’esempio]
quello che non era stato mai loro narrato ed apprenderanno quello che non
avevano mai udito.” Niuno
ha mai sentito dire che un re si sia sottoposto volontariamente a ricevere
tante indegnità dai suo soggetti, per essersi proposto di beneficiarli. In verità un amore di tale specie è più che fraterno e,
perciò, non ci sarà da meravigliarsi, se tutti resteranno stupiti,
quando, “a tempo debito,” conosceranno questi fatti.
Indubbiamente,
anche il volto del nostro Redentore fu solcato dai dolori, poiché abbiamo
già notato che il suo cuore, pervaso di amorevole compresione, fu
commosso per le nostre infermità. Perciò
non v’è dubbio che il marchio di afflizione e di dolore, nel suo volto,
andò accentuandosi, sinquando concluse la sua missione sul Calvario. Dobbiamo anche rammentarci che, quanto più fino e perfetto
è un organismo, tanto più sono delicate le sue sensibilità e, quindi,
maggiore la suscettibilità al dolore.
A noi è facile discernere scene attinenti a disturbi, malattie,
dolori e depravazione, pioché, più o meno, vi siamo assuefatti (e
facciamo parte della caduta), oltre ad essere in contatto con l’umanità
e le sue sofferenze; ma immaginiamo quanto più profondamente queste
colpirebbero la sensibilità di un essere perfetto, santo, innocente,
immacolato e separato dai peccatori.
In un
certo senso, nelle nostre esperienze, reperiamo questi stadii di
sensibilità. Coloro che
provengono da un elevato ceto sociale, e, quindi, hanno abitudini e gusti
raffinati, per l’educazione che hanno ricevuta, se vano a visitare delle
zone operaie d’una metropoli, restano annichiliti ed addolorati nel
rilevare le condizioni [144] disagevoli, lo squallore, la degradazione e
tante altre estrinsecazioni della miseria.
Involontariamente, essi si raffigurano che, se dovessero vivere in
tali ambienti, preferirebbero morire.
Eppure, mentre questi pensieri oscuri annebiano ed oscurano le loro
menti, potranno essere attratti dal gioco di qualche fanciullo; dal canto
di qualche ragazza; dal lieto disimpegno d’un qualsiasi lavoro d’un
artigiano; dalla musica di qualche rudimentale strumento, o di una
qualsiasi espansione di gioia, che sgorga da un cuore puro. E, allora, quasi d’incanto, andrà attenuandosi il loro
sgomento per dar luogo ai sentimenti di commiserazione e di amore per i
derelitti.
Quanto
abbiamo espresso, illustra il modo di vedere di nostro Signore Gesù
Cristo e quello degli uomini del mondo.
Egli, essere perfetto, proveniente dalla corte celeste, ripeina di
gloria, essendosi umiliato per poter partecipare alle sofferenze
dell’uomo e divenire il loro Redentore, dovette sentire certamente più
di noi le miserie della “gemente nostra creazione.”
Qual meraviglia, allora, che il fardello dei nostri dolori dovette
affrangerlo e riflettere, nel Suo bel volto, tanta pena da alterare la sua
sembianza? Qual meraviglia,
se, commosso per le infermità umane, alle quali volontariamente
s’assoggettò a condividere le sofferenze (al costo della sua vita, o
vitalità, come abbiamo già precisato) il suo volto e le sue sembianze
avessero potuto cambiare talmente da quelle del Figliuolo dell’uomo?
Eppure, non possiamo dubitare miniamente che la sua comunione col
Padre celeste, quella dello Spirito Santo e l’approvazione della propria
coscienza, il sentimento di aver compiuto tutte le cose al fine di essere
accettevole a Dio, dovette conferire all’aspetto del nostro Redentore
un’espressione commista di gioie e dolori; disturbi e pace.
La conoscenza del Piano del Padre e la realizzazione del modo in
cui, fra breve, avrebbe prodotto benedizini a se stesso e salvezza
all’intera umanità, lo abilitarono a gioire, per quanto gli era dato
soffrire. Così, se i dolori
causitigli dagli uomini, apparvero sul suo volto, possiamo essere ben
certi che anche la sua fede e la sua speranza rifulsero nell’espressione
del suo viso e “la pace de Dio che sorpassa ogni intelletto,” inondò
il suo cuore, abilitandolo a gioire,[145] in ogni tempo, anche fra i
sentimenti contrastanti, da parte dei peccatori.
“SI DISTINSE FRA DIECIMILA”
Ai
cuori peccaminosi, invidiosi ed odiosi della decaduta natura, la verità e
l’amore sono disgustosi, privi di bellezza, riprovevoli ed
indesiderabili. Ciò volle
esprimere Gesù, allorché disse: “La
luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato la tenebre più che la
luce, ... acciocché le loro opere non siano riprovate”
(Giov. 3:19-20, V. Diodati). Questa
enunciazione ci rende edotti che un cuore maligno spesso odia e disprezza
una gloriosa e gentile continenza. E,
non solo nel caso del nostro Redentore, allorché il disprezzo colminò
nel dispettoso grido “crocifiggilo, crocifiggilo”; ma anche in varii
altri casi. Notinsi i ricordi
dei diversi martiri, immolatisi in difesa della vertià, onde rilevare
quanta minima impressione causò al pubblico la continenza di color i
quali, sorpassando la loro sofferenza,
invocavano Iddio perché perdonasse i loro persecutori.
La testimonianza circa il primo martire cristiano, Stefano, che
dala sua faccia si irradiava una bellezza “simile a quella di un
Angelo” (Atti 6:15). Eppure, per la durezza dei loro cuori, anziché amare quel
bolto angelico, (che, tuttavia, dovette essere men bello ed angelico di
quello del Maestro), invece di ascoltarne le mirabili parole (certo meno
mirabili di quelle del Maestro), “gettarono grandi gridi, si turarono
gli orecchi, e tutti imsieme, di pari consentimente, si avventarono sopra
di lui ... e lapidarono Stefano,” lo stesso come avevano proceduto verso
Gesù, gridando a Pilato “crocifiggilo, crocifiggilo.”
“TUTTA LA SUA PERSONNA È UN’INCANTO”