Studi
Sulle Scritture
Serie 6 - La Nuova Creazione
STUDIO
16
L’EREDITÀ
PRESENTE DELLA
NUOVA CREAZIONE
LE PRIMIZIE DELLO SPIRITO—VERE SPERANZE
CONTRO FALSE SPERANZE—LA NOSTRA SPERANZA—IL MALFATTORE IN PARADISO—IL
DESIDERIO SINCERO DI S. PAOLO—“LA NOSTRA DIMORA TERRENA” E “LA
NOSTRA DIMORA CELESTE”—LA SCENA DELLA TRASFIGURAZIONE—“IL PRIMO
CHE DOVRÀ RISUSCITARE DAI MORTI”—GIOIE PRESENTI DELLA NUOVA CREAZIONE—“CHIEDETE
E RICEVERETE AFFINCHÉ LA VOSTRA ALLEGREZZA SIA COMPLETA”—FEDE, UN
FRUTTO DELLO SPIRITO E UNA PARTE DELL’EREDITÀ DELLA NUOVA CREAZIONE.
NON
TUTTE le benedizioni della Nuova Creazione appartengono al futuro, al di là
della cortina. Nella vita presente è concessa alle Nuove Creature una
primizia dello Spirito, un’anticipazione della benedizione futura. Tra
queste primizie si possono enumerare i vari frutti e le varie grazie dello
Spirito santo: la fede, la speranza, la gioia, la pace, l’amore, ecc. Si
può dare il caso che alcuni affermino che queste siano intangibili ed
irreali; noi, invece, rispondiamo che esse sono reali come sono reali le
Nuove Creature e proprio nella stessa proporzione in cui la Nuova Creatura
cresce, aumentano questi elementi delle sue esperienze, della sua
benedizione e del suo sviluppo. In verità si ammetterà che queste stesse
qualità, in quanto appartengono alle cose terrene, siano le benedizioni
principali dell’uomo naturale, le qualità che gli danno il grado più
grande di benedizione e di privilegio. Le Nuove Creature in Cristo, avendo
scambiato le speranze, i privilegi e gli amori terreni con quelli celesti,
considerano questi ultimi molto più preziosi di quelli abbandonati. Gli
amori terreni sono spesso incostanti, in genere egoisti. Le speranze
terrene di solito sono effimere e illusorie. Le gioie terrene sono, al
massimo, di breve durata e superficiali. Le ambizioni terrene raramente
sono gratificate e, anche quando lo sono, hanno dell’amaro insieme al
dolce. Ciononostante vediamo che tutto il [660] mondo si sforza per
raggiungere queste ambizioni, queste gioie, queste speranze, questi amori
e noi siamo tutti testimoni che il loro piacere principale sta nel
perseguimento di essi e che, una volta conseguitone uno, giunge una certa
delusione.
Non così
per la Nuova Creazione. Le sue speranze, le sue gioie, i suoi amori, le
sue ambizioni crescono in continuazione, alimentate dalle promesse
eccezionalmente grandi e preziose della Parola divina. E non portano
nessuna delusione, ma invece nei loro cuori giungono sempre più
soddisfazione e la pace di Dio, che va al di là di tutta la comprensione,
man mano che gli occhi della loro fede si aprono sempre di più e
comprendono la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità della
sapienza e dell’amore divini, della cui ricchissima benedizione essi
sono eredi e coeredi attraverso il Signore Gesù Cristo.
Questa
terra della promessa in cui le Nuove Creature entrano in modo figurativo
al momento della loro consacrazione completa, quando ricevono lo spirito
di adozione, è una terra che abbonda di latte e miele; e sebbene abbia le
sue prove, le sue conquiste, le sue battaglie dentro e fuori, le sue
vittorie non solo significano gioia e pace, ma sotto l’istruzione e la
guida divine, anche le sue sconfitte sono trasformate in fonti di speranza,
di fede e di gioia, da colui che è capace e pronto a far cooperare tutte
le cose per il loro bene.
Vere speranze contro false speranze
L’Apostolo
richiama la nostra attenzione sul fatto che Satana cerca di recare danno
alla Nuova Creazione presentandosi ad essa come un angelo o come
messaggero di luce. Quando qualcuno confessa di essere stato generato
dalla luce, dalla Verità, dallo Spirito santo, l’Avversario si rende
conto che stanno per sfuggire completamente alle tenebre, alla
superstizione e all’inganno con cui egli ha avvolto l’umanità. Allora
si trasforma ed invece di cercare ulteriormente di condurre in modo
diretto alle superstizioni e alle tenebre, simula di essere un leader che
conduce a maggiore luce; e sebbene specialmente vigili in questa direzione
nel momento presente in cui prevale una luce più [661] radiosa, non
dobbiamo dimenticarci che egli è stato energico nel seguire la stessa
linea d’azione sin da quando l’Apostolo scrisse queste parole.
Troviamo prove di ciò nei vari credi della Cristianità, che esprimono
gli sforzi di uscire dalle tenebre, ma sono pieni di false teorie, di
false speranze dal carattere seducente. Queste, mentre affermano di essere
d’aiuto ai Cristiani, mentre affermano di onorare Dio, mentre affermano
di spiegare la sua Parola, sono veramente delle insidie e dei tranelli per
impedire una giusta concezione della Verità. Il magnifico provvedimento
di amore e di misericordia di Dio, così giusto in ogni particolare, è
stato contrastato dall’Avversario, non solo direttamente ma
indirettamente, offrendo ai membri del popolo del Signore qualcosa che, al
loro giudizio imperfetto, dapprima sarebbe potuto apparire come delle
speranze e prospettive maggiori di quelle manifestate dalla Verità. La
tendenza dell’errore, nondimeno, è sempre quella di allontanarsi sempre
di più dalla Verità, dal piano divino, dalla semplicità del Vangelo,
per arrivare alla confusione del pensiero, alla superstizione e agli
intrighi preteschi.
Tra
queste speranze ingannevoli c’è la speranza che, una volta che gli
uomini muoiono, essi non siano morti; che, da morti, essi siano più vivi
che mai. Questa speranza è presentata dall’Avversario per opporsi alla
speranza, basata sulle Scritture, di una risurrezione dei morti. Una o
l’altra di queste speranze deve essere falsa. L’Avversario è riuscito
straordinariamente ad introdurre con l’inganno tra la “Cristianità”
questa falsa speranza, che non è sostenuta dalla Parola di Dio e che è
in diretto contrasto con gli insegnamenti della Parola rispetto alla
risurrezione dei morti; poiché se nessuno è morto, non ci potrebbe
essere nessuna “risurrezione dei morti”.
Un’altra
di queste false speranze si riferisce al tempo della ricompensa per coloro
che sono stati fedeli al Signore. L’Avversario in ugual modo ha avuto
successo nell’ingannare la chiesa nominale facendole credere che invece
di attendere una risurrezione dei morti, invece di sperare in una
partecipazione alla Prima Risurrezione, quale momento per ricevere il
premio, essa avrebbe dovuto sperare che i morti (non morissero, ma)
entrassero nel loro premio attraverso la porta della morte, anziché
attraverso la porta della risurrezione, come esposto dovunque nelle
Scritture. Queste false speranze, come tutto il resto che è falso, sono
dannose, per quanto possano apparire al [662] momento piacevoli. La Parola
di Dio deve essere la nostra guida ed essa ci insegna che le nostre
speranze riguardo alla benedizione futura, alla gioia futura, ecc.
riposano tutte nella risurrezione dei morti.
Le
false aspettative del passato secondo cui il momento della morte sarebbe
il momento della gloria celeste (contrariamente non solo a tutti i fatti e
a tutte le circostanze evidenti alla mente umana, ma opposti ad una gran
quantità di testimonianze Scritturistiche riguardo alla risurrezione, che
per il suo compimento è in attesa della seconda venuta di nostro Signore)
sono state molto dannose per il popolo del Signore, in quanto esso è
stato distolto dalla Sua Parola e dalle vere speranze che essa inculca e
che sono in pieno accordo con il più sano ragionamento e con tutti i
fatti come li vediamo attorno a noi.
Si può
suggerire che questa speranza di un cambiamento istantaneo alla condizione
celeste nel momento della morte, è per gli ultimi membri della Nuova
Creazione proprio quella speranza sostenuta in quest’opera. Questo è
vero, ma c’è una ragione per cui sosteniamo una tale speranza nel tempo
presente che non si poteva addurre prima del 1878, data alla quale
affermiamo che risalga questo ampliamento della speranza del popolo del
Signore. Questa espansione delle speranze della Nuova Creazione in questa
stagione della mietitura è in pieno accordo con le Scritture. Il nostro
pensiero non è che tutti gli uomini, neanche i membri della Nuova
Creazione per tutta la durata dell’età, siano stati cambiati nel
momento della loro morte; ma, seguendo le Scritture secondo cui essi si
sono addormentati in Gesù, crediamo anche con la stessa autorità che la
loro speranza è nel risveglio che Dio ha promesso avverrà per loro nel
nuovo giorno, il giorno Millenaristico. La nostra speranza, basata sulla
testimonianza della Parola divina, è che noi siamo già all’alba di
questo nuovo giorno; che l’Emanuele è già presente, a stabilire il suo
Regno; che la prima parte consiste nel fare i conti con i suoi servitori,
come egli ha indicato in modo particolare nelle sue parabole che
illustrano l’opera che deve essere compiuta al suo ritorno per assumere
il Regno della terra. Le parabole dichiarano che egli chiamerà i suoi
servitori, ai quali ha affidato i denari e i [663] talenti, e che farà i
conti con essi prima di cominciare a fare i conti con il mondo. Luca
19:15; Mat. 25:14
Quest’opera
comincia con la casa di Dio, la Chiesa, la Nuova Creazione; e, come già
indicato,* il 1878 D.C. ha segnato la data in cui i “morti in Cristo”
dovevano risorgere “per primi”. È in piena armonia con le Scritture,
perciò, credere che gli apostoli e i santi fedeli di tutta l’età, fino
ai nostri giorni, siano già glorificati, che siano già in possesso dei
corpi spirituali gloriosi promessi loro, perché “cambiati” e resi
come il Maestro stesso e, quindi, esseri spirituali, nascosti alla vista
umana, al di là della cortina. È in pieno accordo con questa speranza
basata sulle Scritture che noi insegniamo che ciascun membro della Nuova
Creazione ancora nella carne non avrà bisogno, ora, di “dormire” e di
attendere il tempo e lo stabilirsi del Regno, perché il Re e il Regno
sono già qui, l’opera apportatrice di vita del nuovo ordinamento è già
iniziata, la porzione maggiore della Nuova Creazione eletta è già stata
glorificata e i membri viventi stanno semplicemente ricevendo il
completamento del loro perfezionamento, della prova della loro idoneità e
del loro esame che li prepara a sperimentare la loro partecipazione nella
Prima Risurrezione, ad essere “rapiti” o “trasformati” in un
momento, in un batter d’occhio; a ricevere, nel momento della morte
della carne, il conferimento di una nuova casa, il corpo spirituale. II
Cor. 5:1; I Tess. 4:17
__________
*Vol.
II, Cap. vii.
__________
Nel
considerare questo tema, tuttavia, dobbiamo avere dinnanzi alle nostre
menti non solo queste speranze speciali di questo periodo della “mietitura”,
ma anche in modo inclusivo quelle che sono state le speranze di tutti i
fratelli, di tutti i membri della Nuova Creazione, le speranze
presentateci nel Vangelo. Che la Parola ispirata dichiari queste speranze
e, poi, che non ci procuri preoccupazione il fatto che esse siano molto
diverse da quelle generalmente nutrite dal cosiddetto mondo Cristiano.
Vero, il “Mondo Cristiano”, nei suoi credi, presenta una fede nella
seconda venuta di Cristo e nella Risurrezione dei [664] morti, ma queste
sono puramente delle espressioni verbali con cui cerca di mantenere
qualche rapporto con le Scritture. Queste non sono le speranze
del Mondo Cristiano, della chiesa nominale; esse sono, piuttosto, i suoi terrori. Costoro hanno il terrore della seconda venuta di Cristo
invece di sperare che venga; e hanno il terrore della risurrezione dei
morti invece di sperare che ci sia; poiché essi sono stati indotti in
errore dal grande Avversario in un malinteso del carattere e del piano
divini e generalmente credono che la seconda venuta di Cristo significhi
la fine della speranza, la fine del periodo di prova, la fine della
misericordia; invece di capirla come le Scritture indicano, come il vero
inizio della grande benedizione di tutte le famiglie della terra, che Dio
molto tempo fa promise e che è andato preparando per quattromila anni.
Anche
la Risurrezione è guardata con terrore perché i falsi insegnamenti hanno
portato alla supposizione che lo spirito, o il soffio della vita, ha una
coscienza senza corpo e che il corpo è una sorta di prigione da cui gli
spiriti sono felici di essere liberati: un ritorno in esso sarebbe
essenzialmente visto come una punizione. In tal modo le tradizioni degli
uomini hanno reso vana la Parola di Dio, sotto l’influenza del grande
Avversario, il dio di questo mondo, che ora acceca così tanti. Ma
guardiamo alla testimonianza delle Scritture su questo tema e vediamo
quanto essa sia rivolta chiaramente ed esplicitamente in ogni esempio alla
seconda venuta di Cristo e alla risurrezione quale, in primo luogo, la
speranza della Chiesa, della Nuova Creazione, e in secondo luogo, quale la
speranza del mondo.
“Cingete i fianchi della vostra mente, state
sobri, e abbiate piena speranza nella grazia che vi sarà recata nella
rivelazione di Gesù Cristo.” I Piet. 1:13−R.V.
“Anche noi, che abbiamo le primizie dello
Spirito, anche noi stessi gemiamo in noi medesimi, aspettando l’adozione,
vale a dire, la redenzione [liberazione] del nostro corpo [la Chiesa, il
corpo di Cristo]. Poiché noi siamo stati salvati in speranza [non ancora
effettivamente salvati, ma semplicemente in un senso precursore].” Rom. 8:23, 24−R.V.
“Benedetto sia l’Iddio e Padre del nostro
Signore e Salvatore Gesù Cristo, che secondo la sua gran misericordia ci
ha fatti rinascere, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, ad
una speranza di vita, ad un’eredità incorruttibile, immacolata ed
immarcescibile, conservata[665] nei cieli per voi, che, dalla potenza di Dio, mediante la fede siete
custoditi per la salvazione che sta per essere rivelata negli ultimi
tempi. Nel che [nella quale speranza] voi esultate grandemente, sebbene
ora, per un po’ di tempo, se così bisogna, siate afflitti da svariate
prove: affinché la prova della vostra fede, molto più preziosa
dell’oro che perisce, eppure è provato col fuoco, risulti a vostra
lode, gloria ed onore alla rivelazione di Gesù Cristo.” I Piet.
1:3-7
“Mi è riservata la corona di giustizia che il
Signore, il giusto Giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me,
ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione.” II Tim. 4:8
“Non mi vergogno, perché so in chi ho creduto
e son persuaso ch’egli è potente da custodire il mio deposito fino a
quel giorno.” II Tim.
1:12−R.V.
“Dovremmo vivere temperatamente, giustamente e
piamente, in questo mondo, aspettando la beata speranza e l’apparizione
della gloria del nostro grande Iddio e Salvatore, Cristo Gesù, il quale
ha dato se stesso per noi.” Tito
2:12-14
“Questo io [Paolo] confesso a te [Felice], che
secondo la via ch’essi chiamano setta, io adoro l’Iddio dei padri,
credendo tutte le cose che sono scritte nella Legge e nei profeti, avendo
in Dio la speranza, che nutrono anche costoro, che ci sarà una
risurrezione dei morti.” Atti 24:14,15
“Voi moriste e la vita vostra è nascosta con
Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora
anche voi sarete con lui manifestati in gloria.” Col. 3:3, 4
“È a motivo della speranza della risurrezione
dei morti che in questo giorno son chiamato in giudizio.” Atti 23:6
“Gesù le disse: ‘Io son la risurrezione e la
vita. Chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque [allora] vive e
crede in me, non morrà mai.” Giovanni 11:25, 26−R.V.
“L’ora viene in cui tutti quelli che son nei
sepolcri udranno la sua voce e ne verranno fuori; quelli che hanno operato
bene in risurrezione di vita [la Prima Risurrezione]; e quelli che hanno
operato male [la cui condotta nella vita presente non passerà
l’approvazione divina come degna della vita eterna] in risurrezione di
giudizio [la risurrezione graduale sotto discipline e premi durante l’età
Millenaristica].”* Giovanni 5:28, 29−R.V.
__________
*Vedere
Cap. xvii.
__________
“Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore;
se no, ve l’avrei detto; io vado a prepararvi un luogo. E quando sarò
andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di
me, affinché dove son io, siate anche voi.” Giovanni 14:2,3
“Il Figliuolo dell’Uomo verrà nella gloria
del Padre suo, con i suoi angeli, ed allora renderà a ciascuno secondo
l’opera sua.” Mat. 16:27
“Ecco, io vengo tosto e il mio premio è con
me.” Apoc. 22:12
“Ecco, la tua salvezza giunge; ecco, egli ha
con sé il suo salario.” Is. 62:11
[666] “Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla presenza [parusia] del
Signore; …rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è
vicina.” Giacomo 5:7, 8
“Dite a quelli che hanno il cuore smarrito:
‘Siate forti, non temete; ecco il vostro Dio verrà con la vendetta, con
la retribuzione di Dio; verrà a salvarvi.’ Allora si apriranno gli
occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi, …perché delle
acque sgorgheranno nel deserto e dei torrenti nella solitudine.” Is. 35:4-6
“In quel tempo, il tuo popolo sarà salvato;
tutti quelli, cioè, che saran trovati iscritti nel libro [della vita], e
molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno,
gli uni per la vita eterna [la Prima Risurrezione], gli altri per
l’obbrobrio e per una eterna infamia [disonore, dal quale, tuttavia,
possono riprendersi mediante i processi di restaurazione allora avviati];
e i savi [il piccolo gregge, le vergini avvedute] risplenderanno come lo
splendore della distesa [come il sole – Mat. 13:43], e quelli che ne
avranno condotti molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle [corpi
celesti] in sempiterno…Ma tu avviati verso la fine [fino a che venga la
“stagione della mietitura” oppure la fine dell’età]: poiché tu ti
riposerai e poi sorgerai per ricevere la tua parte d’eredità alla fine
dei giorni.” Dan. 12:1-3, 13. Vol. III, p. 83
“Un libro è stato scritto davanti a lui [Geova],
per conservare il ricordo di quelli che temono l’Eterno; che rispettano
il suo nome; ed essi saranno miei, dice l’Eterno degli eserciti, in quel
giorno quando preparerò la mia proprietà particolare.” Mal. 3:16, 17
Teorie
distorte e invenzioni fantasiose vengono principalmente da filosofi umani,
che non hanno avuto la guida della lampada della Parola divina e che hanno
così indotto in errore i giudizi di molti dei cari santi del Signore che
quanto detto sopra e molte altre dichiarazioni esplicite riguardo alle
vere speranze del popolo del Signore sono confutate e private della loro
forza, bellezza e potenza da altri passi scritturistici più o meno
illustrativi, i quali sono travisati rispetto a quello che essi esprimono
nella loro giusta posizione e nel loro giusto significato da renderli
antagonistici nei confronti di queste semplici affermazioni. Dobbiamo
esaminarle per chiarificare la via della fede, della speranza e
dell’obbedienza e per renderla chiara agli occhi della nostra
comprensione. Poi, procederemo a notare varie altre benedizioni che si
aggiungono alle nostre speranze, che ci appartengono nella vita presente,
come parte delle primizie della nostra eredità.
Il malfattore in Paradiso
“Diceva a Gesù: ‘Ricordati di me quando
sarai venuto nel tuo Regno.’ Ed egli [Gesù] disse a lui [il malfattore
penitente]: ‘Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in Paradiso.’” Luca 23:42, 43
[667]
Coloro che considerano la salvezza come una via per sfuggire alla tortura
eterna in un paradiso di piacere e la vedono soltanto dipendere da
circostanze accidentali di favore, pensano di vedere esemplificate in
questa narrativa la dottrina dell’elezione;
secondo essa nostro Signore Gesù, compiaciuto delle parole consolatrici
di quel malfattore, lo scelse per il cielo ed, in ugual modo, scelse che
l’altro dovesse soffrire per tutta l’eternità, senza commiserazione e
senza soccorso. Vero, se Dio avesse fatto la salvezza come fosse una
lotteria, come una cosa fortuita, coloro che credono che sia così
dovrebbero avere poco da dire contro le lotterie della Chiesa e ancor meno
contro quelle del mondo.
Ma
questo non è il caso. Questo passo scritturistico è stato frainteso
parecchio. Per capirne il vero significato, esaminiamo dove si trova
inserito e le connessioni che ha.
Il
Signore era appena stato condannato e stava per essere giustiziato con
l’accusa di tradimento contro il governo di Cesare per il fatto di aver
detto che era re, sebbene avesse detto loro che il suo Regno “non era di
questo mondo”. Lì, sulla croce, sopra la sua testa, scritto in tre
lingue, si trovava il delitto di cui era stato accusato: “QUESTO È IL
RE DEI GIUDEI.” Quelli che erano lì intorno sapevano delle sue
affermazioni e lo deridevano, eccetto uno dei malfattori crocifissi
accanto. Senza dubbio egli aveva sentito di Gesù e del suo meraviglioso
carattere e delle sue meravigliose opere e disse in cuor suo: Questo è
veramente un uomo strano e meraviglioso. Chi è in grado di sapere se c’è
una base per queste sue affermazioni? Certamente vive vicino a Dio. Gli
parlerò per spirito di compassione: non può far nessun male. Poi
rimproverò il suo compagno, riferendosi all’innocenza del Signore; e in
seguito a questo ebbe luogo la conversazione di cui sopra.
Non si
può supporre che questo malfattore avesse delle idee corrette o definite
su Gesù; non aveva niente di più che una pura sensazione che, stando lì
per morire, ogni filo di speranza sarebbe stato meglio di niente.
Attribuirgli di più sarebbe situarlo nella
fede davanti a tutti gli apostoli e seguaci del Signore che in quel
momento erano fuggiti sgomentati e che, tre giorni dopo, dissero: “Noi [avevamo] sperato che fosse lui che avrebbe riscattato Israele.”
Luca 24:21
[668]
Non si possono avere dubbi sul significato di questa preghiera. Egli aveva
voluto dire che, una volta che Gesù avesse raggiunto il potere del suo
Regno, egli avrebbe desiderato trovare favore, avrebbe desiderato che ci
si prendesse cura di lui. Adesso, notate la risposta di nostro Signore.
Egli non dice che non ha nessun regno; ma, anzi, con la risposta che dà,
indica che la richiesta del malfattore era stata una richiesta appropriata.
La parola tradotta “in verità” oppure “invero” è la parola greca
“amen” e significa “Così
sia” oppure “La tua richiesta è concessa”. “Io ti dico che
oggi [questo giorno buio, quando sembra
come se io fossi un impostore e quando sto morendo come un criminale], tu
sarai con me in Paradiso.” La sostanza di questa promessa sta nel fatto
che, quando il Signore avrà stabilito il suo Regno, esso sarà un
Paradiso e il malfattore sarà ricordato e si troverà in esso. Notate che
abbiamo cambiato la virgola da prima a dopo la parola “oggi”.
Ciò
rende le parole del Signore perfettamente chiare e logiche. Se l’avesse
voluto, egli avrebbe potuto dire di più al malfattore. Gli avrebbe potuto
dire che il motivo per cui era privilegiato di essere in Paradiso era
perché il suo riscatto si stava
pagando proprio lì in quel momento. Gli avrebbe potuto dire inoltre che
egli stava morendo per riscattare anche l’altro
malfattore, come pure l’intera moltitudine davanti a lui che lo stava
guardando a bocca aperta e lo stava deridendo, i milioni allora sepolti e
i milioni non ancora nati. Noi siamo a conoscenza di ciò perché sappiamo
che “Gesù Cristo, per la grazia di Dio, ha gustato la morte per ogni
uomo”, “ha dato se stesso come riscatto per tutti”, affinché a suo
tempo tutti possano avere l’opportunità di tornare alla condizione
dell’Eden, persa in seguito al peccato del primo uomo e redenta per gli
uomini dal sacrificio giusto di Cristo. Ebr. 2:9; I Tim. 2:5, 6; Atti 3:19
Come già
mostrato, il giardino dell’Eden fu solo un’illustrazione di quello che
la terra sarà quando sarà liberata dalla maledizione, quando sarà
perfezionata e imbellita. La parola “paradiso” è di origine araba e
significa un giardino. La Bibbia
dei settanta rende Gen. 2:8 in questo modo: “Dio piantò un paradiso nell’Eden.” Quando Cristo avrà stabilito il suo Regno
e avrà incatenato il male, ecc., questa terra pian piano diventerà un
paradiso e i due malfattori e tutti gli altri che sono nelle tombe vi
entreranno; poi, diventando obbedienti alle sue leggi, vi potranno vivere
e potranno goderlo per sempre.
Nelle
Scritture il Paradiso è usato per descrivere il primordiale stato di
felicità dell’uomo, in armonia con il suo Creatore, prima che la
maledizione e la sventura del peccato entrassero nel mondo. Si promette
che questo Paradiso perduto per l’umanità verrà restaurato; e in modo
più o meno vago la creazione intera è stata, ed è, in attesa e con la
speranza che si inauguri così l’Età d’Oro. Le Scritture ci
presentano il pensiero secondo cui lo stato di Paradiso è stato redento
per l’uomo dalla morte di nostro Signore Gesù e secondo cui, di
conseguenza, una parte della sua gloriosa opera di restaurazione sarà di
restaurare il Paradiso (“ciò che era perito”), la proprietà
acquistata. Mat. 18:11; Efes. 1:14; Apoc. 2:7
Ma
abbiamo il diritto di alterare la posizione della virgola? Certamente: la
punteggiatura della Bibbia non è ispirata. Gli scrittori della Bibbia non
usarono nessuna punteggiatura.
Essa fu inventata quattrocento anni fa. È semplicemente una comodità
moderna e dovrebbe essere usata per mettere in evidenza il senso, in
armonia con tutti gli altri passi scritturistici.
Sono
piuttosto frequenti casi di un uso simile della parola “oggi” nella
letteratura moderna; e nelle Scritture richiamiamo l’attenzione su
quanto segue:
“Perciò io ti do oggi questo comandamento.” Deut. 15:15
“Ho posto davanti a te oggi la vita e il bene,
la morte e il male.” Deut. 30:15
“Io ti comando oggi d’amare l’Eterno, il
tuo Dio.” Deut.
30:16
“Piacesse a Dio che per poco o per molto, non
solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi m’ascoltano, diventaste
tali, quale sono io, all’infuori di questi legami.” Atti 26:29
Non
solo il senso di questo passo richiede la punteggiatura suggerita, ma la
sua armonia con il resto degli altri passi scritturistici lo richiede
ugualmente e non ci può essere nessuna obiezione logica o valida che si
possa opporre. Supporre che nostro Signore sia andato in Paradiso
immediatamente, sarebbe supporre l’impossibile, poiché il [670]
Paradiso non è ancora stato ristabilito. Per di più, è chiaramente
dichiarato che il corpo di nostro Signore fu sepolto nella tomba di
Giuseppe e che, nel frattempo, la sua anima, o il suo essere, andò nello
sheol, nell’ade, nell’oblio e che egli era morto,
e non vivo in Paradiso o in qualche altro posto. Le Scritture ci
assicurano chiaramente, non che il Signore scese dal cielo, o dal Paradiso,
alla sua risurrezione, ma che “risuscitò dai morti, il terzo giorno,
secondo le Scritture.” (I Cor. 15:4) Le parole stesse di nostro Signore,
dopo la sua risurrezione, furono: “Così è scritto, che il Cristo
soffrirebbe e risusciterebbe dai morti il terzo giorno.” (Luca 24:46) Ed
ancora disse a Maria: “Non sono ancora salito al Padre: ma va’ dai
miei fratelli e di’ loro: ‘Io salgo al Padre mio e Padre vostro,
all’Iddio mio e Iddio vostro.’” Giovanni 20:17
Il desiderio sincero di S. Paolo
“Poiché per me il vivere è [vivere] per
Cristo, e il morire, guadagno. Ma se il continuare a vivere nella carne
rechi frutto all’opera mia e quel ch’io debba preferire, non saprei
dire esattamente. Io sono stretto dai due lati [Io ho un desiderio sincero
di ritornare e di essere con Cristo, perché è cosa di gran lunga da
preferire]; ma il mio rimanere nella carne è più necessario per voi.” Fil. 1:21-24, traduzione Diaglott
Si
osserverà che la differenza principale tra quanto sopra e la versione
inglese comune di questo passo è la sostituzione della parola
“ritorno” al posto della parola “partenza”. Nella giustificazione
dell’uso della parola “ritorno”, il traduttore dice in una nota a piè
di pagina:
“ ‘To
analusai’, il rilasciare di nuovo oppure il ritornare,
essendo ciò che Paolo desiderava sinceramente, non potevano essere la morte
o la decomposizione, come sottinteso dalla parola partenza nella versione comune; poiché sembrava una cosa
indifferente per lui quale delle due (vita
o morte) scegliere; ma egli
agognava l’‘analusai’, che
era una terza cosa e di gran
lunga da essere preferita ad una delle due
cose a cui si è alluso. La parola ‘analusai’
appare in Luca 12:36 ed è resa lì come ritorno:
“Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone, quando tornerà”,
ecc. Gesù aveva [671] insegnato ai suoi discepoli che sarebbe venuto di
nuovo, o tornato (Giovanni 14:3, 18); così anche gli angeli dissero loro
alla sua ascensione. (Atti 1:11) Paolo credette in questa dottrina, la
insegnò agli altri, aspettò e restò in attesa del ritorno (analusai) del Salvatore dai cieli (Fil. 3:20; I Tess. 1:10; 4:16,
17) quando sarebbe potuto ‘essere per sempre con il Signore.’”
Un
esame della parola greca analusai
mostra che essa è usata nella letteratura greca da Platone in entrambi i
modi, sia a volte con il significato di partenza,
che a volte con il significato di ritorno;
ma questa parola ricorre soltanto due volte nel Nuovo Testamento, qui e in
Luca 12:36. In quest’ultima volta, come affermato sopra, è resa come
“ritorno” e chiaramente non potrebbe essere resa diversamente e
mantenere il senso. Nel caso che stiamo discutendo (Fil. 1:23), crediamo
che dovrebbe essere resa come ritorno
per la semplice ragione che, anche quando viene usata con il significato
di partenza, deve contenere l’idea di nuova partenza, di partire verso un luogo dove uno è già stato in
precedenza. Il prefisso greco ana,
nella parola ana-lusai,
significa di nuovo come il
nostro prefisso ri, in ri-torno, significa di nuovo.
Quindi, se si rende come partenza,
saremmo costretti ad aggiungere l’idea di ri-partenza
o di partire di nuovo. E ciò
rovinerebbe la cosa come riportato da S. Paolo; poiché non era mai stato
con Cristo nella gloria e, quindi, non poteva “partire di nuovo” per essere lì con Cristo. Ma quando traduciamo analusai
“ri-tornando” e l’applichiamo a nostro Signore, sembra che ogni
difficoltà scompaia.
Notiamo
le circostanze che hanno dato origine a quest’espressione. L’Apostolo
era stato per un po’ di tempo prigioniero a Roma e, mentre a volte era
stato trattato bene da alcuni Imperatori, per qualche capriccio era
costantemente passibile della pena di morte. Egli scrisse l’Epistola in
riconoscimento di un dono considerevole offerto dalla Chiesa di Filippi e
colse l’opportunità di dir loro in dettaglio della propria condizione,
del progresso dell’opera del Signore, ecc. e di incoraggiarli ad essere
risoluti fino alla fine.
Dato
che essi volevano sapere quali erano le prospettive di un suo rilascio,
egli dice loro che i nemici (vista la sua libertà per due anni−Atti
28:30) stavano spiegando il [672] Cristianesimo con la speranza che da ciò
si venisse ad aggiungere afflizione, e forse anche la morte, alle sue
catene. (Fil. 1:16-19) Ma egli si rese conto delle preghiere della Chiesa
a suo favore e si aspettava che il suo processo davanti a Nerone avrebbe
avuto come risultato la sua liberazione, o mediante l’assoluzione o mediante la morte. Poi
dice loro che, in quanto alle sue preferenze personali,
gli sarebbe difficile scegliere tra la vita (con le sue sofferenze) e la
morte (con il riposo che porta dal lavoro faticoso); ma mentre non aveva
nessuna scelta tra queste due cose possibili, aveva una brama, un
desiderio intenso, per una cosa che egli sapeva bene essere impossibile,
una cosa che egli sapeva, e che aveva insegnato alla Chiesa, essere molto
lontana (II Tess. 2:1-8): il ritorno
di Cristo e l’essere con lui. Allora, lasciando da parte l’impossibile
e ritornando alle possibilità, assicura a loro che egli è convinto che
Dio ha ancora un compito da affidargli per la Chiesa e che sarebbe stato
liberato. E sebbene le Scritture non ne parlino, la tradizione dichiara
che egli fu assolto da Nerone ed ebbe circa cinque anni di libertà e di
servizio prima di essere arrestato nuovamente e giustiziato.
È
degno di nota qui il fatto che altre parole sono usate ripetutamente negli
scritti sia di Paolo sia di Luca quando è chiaro che il significato è partenza.
E si dovrebbe ricordare che Luca fu l’amanuense dell’Apostolo che
viaggiò molto con lui e che si abituò ad usare le parole nello stesso
senso.
Ma se
ancora qualcuno si batte per la parola “partenza”, piuttosto che “ritorno”,
proponiamo quanto segue:
Non
c’è dubbio che Paolo avrebbe desiderato, specie in vista del fatto che
sapeva che la seconda venuta del Signore non si sarebbe potuta verificare
entro breve tempo, di poter partire per il cielo o per qualunque altro
posto per andare a stare subito con il Signore. Ma sapeva che in armonia
con il piano divino non poteva essere concesso un tale desiderio; e quindi,
sebbene fosse stato il suo desiderio sincero, questo non entrò in
considerazione come una delle cose possibili. Continuò a restare ancora
in una strettoia in quanto all’indecisione su quali delle due cose
possibili fosse la sua preferenza: vivere e servire la Chiesa nella
sofferenza, oppure morire e riposare dai duri lavori, in attesa “di
quella beata speranza e dell’apparizione della gloria del grande Iddio [nostro
Signore e [673] Salvatore Gesù Cristo]” “il quale trasformerà il
corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua
gloria.” Tito 2:13; Fil. 3:21
“La
nostra dimora terrena” e “La nostra dimora
celeste”
−II
Cor. 5:1-10−
L’Apostolo
sta scrivendo alla Nuova Creazione riguardo alla loro condizione, non
incluso l’uomo naturale. Egli riconosce la nuova volontà come la Nuova
Creatura e il corpo vecchio come il suo “tabernacolo”, o tenda, che è
molto meglio di niente, sebbene sia molto insoddisfacente. La Nuova
Creatura non può sentirsi perfettamente a casa in esso, ma brama
sinceramente il corpo perfetto, che esso sia suo alla risurrezione: la sua
abitazione permanente, oppure condividere la “casa” che nostro Signore
ha promesso di preparare per la Nuova Creazione. (Giovanni 14:2)
“Sappiamo che se la nostra dimora terrena di questa residenza temporanea
viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio permanente, una dimora non
fatta da mano d’uomo [non prodotta da poteri umani], eterna, celeste.”
È vero
che in questo corpo presente, o in questa dimora temporanea del
pellegrinaggio, noi gemiamo, oppressi non solo dall’influenza maligna
del mondo e dal diavolo da tutte le parti, ma anche e in special modo
dalle debolezze della nostra propria carne. Poiché quando facciamo il
bene, il male è presente presso di noi, così che il bene che stiamo per
fare spesso ci viene impedito di farlo, mentre il male che non approviamo
spesso s’impone a noi e richiede che vi si resisti continuamente e che
sia vinto. Come dichiara in un altro posto l’Apostolo, noi “che
abbiamo le primizie dello Spirito, persino noi stessi gemiamo dentro di
noi, in attesa dell’adozione, vale a dire, della liberazione del nostro
corpo”, la Chiesa, nell’immagine gloriosa di nostro Signore.
Ma il
nostro gemere non è unito al desiderio di essere denudati. Noi non
desideriamo essere senza un corpo, poiché in tutta l’età del Vangelo
ciò al massimo vorrebbe dire essere “addormentati”, in attesa della
mattina della risurrezione quando [674] saremo “sopravvestiti della nostra dimora che è celeste”, del
nostro nuovo corpo, perfetto e permanente, della nostra “abitazione”.
Ciò che preferiamo è non aver la piccola scintilla della vita presente
spenta, ma averla inghiottita, assorbita nelle condizioni perfette della
vita perfetta alla quale siamo generati. Bramiamo la nascita della
risurrezione, con il suo corpo perfetto.
“Ora colui che ci ha
formati per questo stesso è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello
Spirito.” Questa condizione perfetta, che dovremmo ottenere nella
risurrezione, sarà la grande consumazione della nostra salvezza, che Dio
ha promesso; e la mente nuova, la volontà nuova generata dalla Parola di
verità, è considerata come l’inizio di quella Nuova Creatura, che sarà
resa perfetta nella natura divina quando la prima risurrezione l’avrà
completata. Lo Spirito santo concessoci nel tempo presente è un pagamento
anticipato, per così dire, una “caparra” o una garanzia dei risultati
importanti e benigni per i quali stiamo sperando e lottando, stiamo
gemendo e pregando.
“Noi
siamo dunque sempre pieni di fiducia e sappiamo che, mentre abitiamo nel
corpo [per tutto il tempo in cui ci sentiamo interamente soddisfatti delle
condizioni presenti, di noi stessi e di ciò che ci circonda], siamo
assenti dal Signore.” Se vivessimo vicino a lui, “camminando con Dio”,
non ci sentiremmo perfettamente soddisfatti dei risultati presenti
ottenuti, delle condizioni presenti, ecc; ma ci sentiremmo come pellegrini
ed estranei, in cerca di un riposo migliore, di un’abitazione migliore,
“che Dio ha in serbo per coloro che lo amano”. Ma questo, come spiega
l’Apostolo è vero solo per coloro che camminano per fede e non per
visione.
Ma
siamo fiduciosi [pieni di fede verso Dio, siamo lieti di camminare per
fede] e abbiamo molto più caro di partire dall’abitazione [senzatetto,
pellegrini ed estranei sulla terra] ed essere nell’abitazione con il
Signore” nello spirito della nostra comunione.
Per
questo motivo stiamo lottando perché o che sia domani quando
raggiungeremo la nostra abitazione, o che sia nel tempo presente quando
siamo effettivamente lontani dall’abitazione, pellegrini ed estranei,
noi lottiamo per poter essere accettabili presso il Signore; affinché
abbiamo il suo favore e la sua benedizione, affinché [675] ci rendiamo
conto della sua comunione e della sua presenza e affinché veniamo a
sapere che alla fine saremo accettati da lui.
“Poiché
dobbiamo tutti comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché
ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte quand’era nel corpo,
secondo quel che avrà operato, o bene, o male.” Attraverso tutto questo
pellegrinaggio siamo alla sbarra del giudizio di nostro Signore: egli ci
sta sottoponendo all’esame, ci sta mettendo alla prova per vedere se
amiamo lui e le cose che facciamo per la giustizia e per la pace oppure
no; e se sì, quanto siamo pronti a sacrificare per amore della giustizia.
Definisce il grado del nostro amore misurando le nostre abnegazioni e i
sacrifici di noi stessi per amore suo, per amore della Verità.
Ma
parlare in tal modo dei nostri corpi come dimore, può essere vero solo
dei “santi”, delle “Nuove Creature” in Cristo. Il resto
dell’umanità non ha dualità di natura e non potrebbe applicare a se
stesso tali espressioni quali quelle contenute in Romani 8:10, 11: “Se
Cristo è in voi il corpo è [considerato] morto
a cagion del peccato; ma lo spirito è vivo a cagione della [reputata]
giustizia” di Cristo. La natura nuova dei santi, generata dalla Parola
di verità, è realmente solo la volontà
nuova, alla quale, tuttavia, da allora in poi ci si rivolge come per
rivolgersi alla persona effettiva e la quale soltanto è riconosciuta da
Dio, che ci conosce non secondo la carne ma secondo lo spirito delle
nostre menti nuove: le menti a somiglianza della mente di Cristo. Notare
anche Romani 6:3, 4. Queste “Nuove Creature” hanno un uomo vecchio, o
un uomo esteriore, che sta per perire, e un uomo nuovo, un uomo interiore,
o un uomo nascosto del cuore, che si sta rinnovando giorno per giorno. II
Cor. 4:16; Col. 3:9, 10; Efes. 4:23, 24; I Piet. 3:4
La scena della Trasfigurazione
I
discepoli non immaginavano affatto che la dichiarazione di nostro Signore,
secondo cui alcuni di loro non avrebbero gustato la morte finché non
avessero visto il Figlio dell’Uomo entrare nel suo Regno, si sarebbe
realizzata entro sei giorni per Pietro, Giacomo e Giovanni sul Monte della
Trasfigurazione. Eppure fu così; ed evidentemente produsse un effetto
grande e deliberato sulle persone che ne furono testimoni, uno dei quali,
scrivendo a proposito, dice (II Piet. 1:16-18): “Non è coll’andar
dietro a favole [676] artificiosamente composte, che vi abbiamo fatto
conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, ma perché
siamo stati testimoni oculari della sua maestà. Poiché egli ricevette da
Dio Padre onore e gloria quando giunse a lui quella voce dalla magnifica
gloria: Questo è il mio diletto, nel quale mi son compiaciuto. E noi
stessi udimmo quella voce che veniva dal cielo, quand’eravamo con lui
sul monte santo.”
La
scena della trasfigurazione non fu tutto ciò che apparve. Fu una “visione”,
come spiegò il Signore ai discepoli quando scesero dalla montagna. In
questa visione, come in tutte le visioni, ciò che è irreale appare reale.
Proprio come accadde per la visione di Giovanni, nell’Isola di Patmo,
descritta nel libro dell’Apocalisse. Vide, udì, parlò; eppure le cose
che gli apparvero nella visione non erano realtà, non erano animali dalle
tante teste e dalle molteplici corna, angeli, coppe e troni, né veri
draghi, ecc., ma puramente una visione.
E una visione era in ogni senso della parola buona e veramente più adatta
allo scopo di quanto non sarebbero state le realtà.
“Il primo che dovrà risuscitare dai morti”
Mosè
ed Elia non furono presenti sulla montagna, di persona, ma furono
semplicemente raffigurati nella visione per i discepoli. Sappiamo questo
non solo attraverso l’affermazione di nostro Signore, cioè che fu una
“visione”, ma anche dalla sua affermazione quando disse che nessun
uomo era salito al cielo. (Giovanni 3:13; Atti 2:34) Noi sappiamo anche
che Mosè ed Elia non sarebbero potuti essere lì, visto che non erano
risuscitati dai morti; poiché nostro Signore Gesù stesso fu la
“Primizia di quelli che dormono”, “Il primogenito dai morti, onde in
ogni cosa abbia il primato.” I Cor. 15:20; Col. 1:18
Inoltre
l’Apostolo parla chiaramente agli Ebrei di Mosè e dei profeti (e ciò
include Elia) e la loro fedeltà in passato, il loro essere stati
accettati da Dio; ma indica che essi non avevano ancora ricevuto la loro
ricompensa e non la riceveranno fino a che noi (la Chiesa del Vangelo) non
avremo ricevuto la nostra ricompensa quali coeredi con [677] Cristo nel
suo Regno. “Tutti costoro, pur avendo avuta buona testimonianza per la
loro fede, non ottennero quello che [le benedizioni di ciò che] era stato
promesso; perché Iddio aveva in vista per noi qualcosa di meglio,
ond’essi non giungessero alla perfezione senza di noi.” Ebr. 11:39, 40
Dato,
poi, che l’apparizione di Mosè e di Elia insieme a nostro Signore fu
semplicemente un’apparizione, ci chiediamo giustamente “quale fu il
significato o il senso di questa visione?”. Rispondiamo: “Fu
un’immagine che stava ad indicare il Regno glorioso di Cristo, come
nostro Signore aveva predetto e come Pietro l’aveva capita ed espressa.
In quest’immagine, i tre discepoli non costituirono nessuna parte. Essi
furono puramente dei testimoni. Cristo fu la figura centrale; il suo
aspetto e le sue vesti, splendenti di lustro miracoloso, rappresentavano
in simbolo le glorie che appartengono alla natura dello spirito, che
nostro Signore ricevette alla sua risurrezione: “l’immagine esplicita
della persona del Padre”. È questa stessa gloria dello spirito che è
rappresentata nelle visioni dell’Apocalisse, dove nostro Signore è
rappresentato con gli occhi come fossero una fiamma di fuoco e i piedi
luminosi come fossero rame arroventato, ecc. (Apoc. 1:14, 15; 2:18) Alla
sua seconda venuta nostro Signore non sarà più carne, perché, come egli
ha attestato: “carne e sangue non possono ereditare il Regno di Dio”.
Ora, egli è, e sarà sempre, uno spirito glorioso dell’ordine più
elevato: la natura divina; e la trasfigurazione fu ideata al fine di
offrire alle menti dei suoi discepoli una pallida concezione della gloria
che eccelle.
Mosè
rappresentò i fedeli vincitori che precedettero nostro Signore, descritti
dall’Apostolo (Ebr. 11:39, 40), che non possono essere resi
perfetti finché non si sarà stabilito il Regno. Elia rappresentò i
vincitori dell’età del Vangelo. Vedere Vol. II, Cap. viii.
Gioie presenti della Nuova Creazione
“Queste cose vi ho detto affinché la mia
allegrezza dimori in voi e la vostra allegrezza sia resa completa.” Giovanni 15:11
Tutti
coloro che da un punto di vista esterno alla “casa dei figli”, tutti
coloro che non hanno consacrato se stessi e che pertanto non sono
diventati membri della Nuova [678] Creazione, del Sacerdozio Regale,
vedendo che i membri del corpo di Cristo, come il loro Signore, hanno
fatto una consacrazione piena di se stessi e di tutti gli interessi
terreni al Signore e alla sua causa, è probabile che pensino che in
questo sacrificio ogni gioia sia perduta. Ma ogni membro della Nuova
Creazione sa che è il contrario e può essere testimone del fatto che
questo è un grande sbaglio, che sebbene alcune gioie terrene, una volta
ritenute molto care, siano sacrificate una ad una, al loro posto giungono
gioie celesti che ricompensano molto di più di quanto è stato perduto.
Come nostro Signore disse ancora: “Voi sarete contristati, ma la vostra
tristezza sarà mutata in letizia.” (Giovanni 16:20) La Nuova Creazione
deve tutta gustare il calice amaro che il Signore vuotò fino alla feccia;
essi debbono tutti simpatizzare con le infermità della carne; essi
debbono tutti rendersi conto chiaramente della peccaminosità e
dell’amarezza eccezionali del peccato; debbono tutti essere messi alla
prova sulla loro lealtà al Padre celeste e alla loro prontezza a
sacrificare ogni cosa terrena come richiesto dagli interessi della sua
causa e dalla fedeltà al giusto. Ma le benedizioni giungono attraverso
tutte queste lacrime, tutti questi dolori e dispiaceri; le benedizioni di
un’attuazione del consenso divino, una gioia superiore a quella
dell’uomo naturale, le gioie del Signore, la fraternità e la comunione
con il Padre.
Non ci
potrebbero essere tali gioie se non fosse per le nostre benedette speranze.
Se le nostre gioie dipendessero semplicemente dalle circostanze di questa
vita, saremmo senza gioia; e, come ha dichiarato l’Apostolo, saremmo
“i più miserabili di tutti gli uomini”. (I Cor. 15:19) È quando la
speranza ha afferrato bene le promesse eccezionalmente grandi e preziose
della Parola di Dio, che le gioie spuntano come fiori in un deserto,
vivificati dalle nostre lacrime; fiori di gioia e di benedizione come il
povero mondo nella sua condizione deserta non potrebbe produrre o
immaginare. E come le nostre gioie dipendono dalle nostre speranze, esse
dipendono anche dalle nostre attività. Non è sufficiente che ci sia
stata lasciata una promessa e che la nostra speranza abbia cercato di
aggrapparsi alla promessa. Per disposizione divina la gioia che sorge
attraverso le speranze e le prospettive istillate deve essere nutrita
dalla preghiera e dall’attività nel [679] servizio del Signore. Nostro
Signore indica l’intimo rapporto tra la preghiera e il perpetuarsi delle
nostre gioie, dicendo:
“Chiedete e riceverete, affinché la vostra
allegrezza sia completa”
−Giovanni 16:24−
“Vi
son gioie a sazietà nella tua presenza; vi son diletti alla tua destra in
eterno” dichiara il profeta. (Sal. 16:11) È perché la preghiera porta
l’anima alla presenza del Signore che essa prepara la via per la
benedizione divina e per le massime gioie. Evidentemente l’apertura
della via perché il popolo del Signore si avvicini al trono della grazia
non è con l’obiettivo, da parte di costoro, di cambiare la volontà e i
piani divini. Tale pensiero è incompatibile con tutte le logiche
considerazioni su quest’argomento; quindi, il Signore ci istruisce
dicendoci di pregare in modo appropriato non nel senso di chiedere che
siano fatte le nostre volontà, in contrapposizione alla volontà divina,
ma nel senso di una completa sottomissione a quest’ultima. L’Apostolo
dichiara, parlando di alcuni: “Voi chiedete e non ricevete, perché
domandate male” secondo i vostri desideri e non secondo la disposizione
e il piano divini. Giacomo 4:3
Secondo
lo stesso criterio nostro Signore ammonisce: “Non usate soverchie
dicerie come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per la
moltitudine delle loro parole; ma il Padre vostro celeste sa
le cose di cui avete bisogno prima che gliele chiediate. Non siate,
perciò, solleciti [preoccupati] riguardo a quel che mangerete o a quel
che berrete né riguardo a quello di cui vestirete, poiché sono i Gentili
che ricercano tutte queste cose; ma cercate prima il Regno di Dio e la sua
giustizia e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte, dal Padre vostro
nei cieli, secondo la sua sapienza.” (Mat. 6:25-34) Ed ancora nostro
Signore dice: “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi,
domandate quel che volete e vi sarà fatto.” (Giovanni 15:7) Sono
importantissime le seguenti condizioni:
(1)
Colui che offre la preghiera deve essere in Cristo, deve essere arrivato
ad [680] avere un rapporto vitale con lui mediante l’accettazione del
merito del suo sacrificio di redenzione e mediante una consacrazione alla
sua volontà e al suo servizio; e, più che questo, egli deve continuare a
rimanere così in Cristo come
membro del suo corpo, come membro della Nuova Creazione, per avere i
privilegi della preghiera cui qui ci riferiamo.
(2)
Egli deve lasciare anche che la Parola del Signore abiti in lui; egli deve
cibarsi della Parola di verità e di grazia se ha la sapienza necessaria
per chiedere, secondo la volontà del Signore, le cose che a lui piace
concedere, altrimenti, anche se una Nuova Creatura in Cristo, le sue
preghiere possono rimanere senza risposta, perché chieste “male”. È
solo chi professa entrambe queste qualificazioni che può aspettarsi di
avvicinarsi al trono della grazia celeste con piena fiducia, con piena
garanzia di fede che le proprie richieste verranno esaudite, al tempo
opportuno di Dio. Solo costoro possono rendere reale la pienezza della
gioia.
Come
spiegano le Scritture, la preghiera è il tentativo di ottenere accesso
alla presenza di Dio e di raggiungere la comunione con lui. Chi, allora,
può avvicinarsi al trono della grazia celeste affinché “otteniamo
misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi ad ogni momento?” (Ebr.
4:16) Rispondiamo con l’Apostolo che il mondo in genere non ha questo
accesso, non ha questo privilegio della preghiera. Vero, in verità,
milioni di pagani stanno offrendo preghiere alla Divinità con svariate
concezioni di chi essa sia e di che cosa sia; ma le loro preghiere non
sono accettabili per Dio. “Chi si accosta a Dio deve credere che egli è
[deve riconoscerlo come Colui che esiste autonomamente] e che egli è il
rimuneratore di quelli che lo cercano diligentemente [che cercano di
conoscerlo, di obbedirgli, di servirlo].” (Ebr. 11:6) Cornelio fu uno
che apparteneva a quest’ultimo tipo, che riconobbe il vero Dio, lo venerò
e cercò di conoscere e di fare la sua volontà; e non appena il piano
divino raggiunse la fase necessaria di sviluppo per permettere al favore
di Dio di essere concesso ai Gentili, le sue preghiere e le sue elemosine
ricevettero una risposta. Tuttavia non gli fu concesso di avere la
comunione con Dio nel senso pieno, appropriato; ma ricevette istruzioni di
mandare a [681] chiamare Pietro che gli avrebbe detto delle “parole” con cui avrebbe potuto essere portato dalla sua condizione
di alienazione e di separazione ad una condizione di armonia e di
figliolanza, in cui avrebbe avuto il privilegio di figlio, il privilegio
di accedere al Padre presso il trono della grazia celeste.
Le idee
generalmente sconclusionate che prevalgono rispetto a questo argomento,
per cui si suppone che qualsiasi persona, in qualsiasi luogo, in qualsiasi
momento e in qualsiasi condizione, possa accostarsi al trono della grazia
ed essere accettata, sono erronee. Come fu necessario, prima che Cornelio
potesse servirsi di questo privilegio della preghiera-comunione, che
ascoltasse, credesse e accettasse le parole
di Pietro, le quali gli spiegarono la redenzione attraverso il sangue di
Cristo e la riconciliazione così effettuata e il privilegio così
concesso di essere portato dentro la famiglia di Dio, così una conoscenza
simile è ugualmente necessaria per tutte le persone.
L’Apostolo
Paolo esprime lo stesso concetto quando dichiara che Cristo ha aperto per noi
“una via recente e vivente” oppure “una recente via di vita”,
attraverso la cortina, vale a dire, la sua carne; e quando dichiara che
possiamo avere l’audacia come fratelli di entrare nel santissimo in virtù del sangue di Gesù.
Tali “fratelli”, collegati al Sommo Sacerdote sopra la casa di Dio,
sono esortati ad “accostarsi di vero cuore, con piena certezza di fede”,
riconoscendo che i loro peccati e le loro iniquità sono state
completamente coperte e che essi stessi sono stati completamente accettati
dal Padre. (Ebr. 10:17-22) Di nuovo, lo stesso Apostolo dichiara che siamo
noi che abbiamo un Sommo
Sacerdote che sa simpatizzare con le nostre infermità, siamo noi
che “dunque ci accostiamo con piena fiducia al trono della grazia,
affinché noi otteniamo misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi al
momento opportuno.” (Ebr. 4:15, 16)
Ma
mentre soltanto la classe dei consacrati, l’“under-priesthood” {ovvero
i sacerdoti subordinati}, la Nuova Creazione, sono incoraggiati in tal
senso ad accostarsi al trono con coraggio e con fiducia, molto chiaramente
tutti coloro che anche se solo provvisoriamente appartengono alla
“famiglia dei credenti” possono in certa misura godere dei privilegi
del ringraziamento e della lode e possono godere in Dio, nel rendersi
conto del provvedimento che egli ha preso per il completo perdono dei
peccati [682] attraverso i meriti della redenzione. Nondimeno, non è loro
privilegio entrare con baldanza, o in qualsiasi altro modo, nel Santo dei
Santi. Soltanto i consacrati, la Nuova Creazione, i membri del corpo del
Sacerdote, hanno il privilegio di penetrare nella presenza di Dio in
preghiera in questo senso speciale; ed essi soltanto, perciò, possono
avere la pienezza della gioia che il Maestro ha promesso. Quindi, mentre
non possiamo neanche suggerire ai non credenti quanto sia appropriato
pregare, ma dovremmo, prima, istruirli con le “parole”, come Pietro
istruì Cornelio, affinché essi possano conoscere colui nel quale essi
debbono credere prima di avere una qualche reputazione davanti a Dio,
nondimeno noi possiamo incoraggiare tutti quelli che hanno creduto nel
Signore Gesù a dare grazie e ad offrire lodi al Padre attraverso Gesù
Cristo. Tuttavia, tale istruzione dovrebbe essere data spontaneamente per
capire che la loro giustificazione provvisoria attraverso la fede non è
il compimento della volontà divina in loro, ma semplicemente l’inizio
del giusto cammino per accostarsi a Dio, il primo passo in
quell’accostarsi, e che il secondo passo della piena consacrazione alla
volontà divina deve essere fatto da coloro che godono dei privilegi della
preghiera, della comunione con Dio e della pienezza della gioia ad esse
connesse.
Si
dovrebbe indicare loro che non fare il secondo passo vorrebbe dire
ricevere la grazia di Dio [giustificazione] invano. (II Cor. 6:1) Dopo
aver goduto dei privilegi di questo tipo connessi con la preghiera per un
periodo e rifiutandosi di andare avanti a fare una consacrazione completa
di se stessi al Signore, costoro dovrebbero giustamente sentire una
diffidenza nei confronti della preghiera; dovrebbero sentire che non è
appropriato ricevere continuamente i favori divini e chiederne ancora,
mentre si rifiutano di dare al Signore la consacrazione dei loro cuori, il
loro servizio ragionevole. Dato che nelle Scritture la classe dei
consacrati è designata quale la sposa di Cristo, così la famiglia
generale dei credenti rappresenta giustamente coloro ai quali vengono
spalancati i privilegi del matrimonio. La Nuova Creazione, quale Sposa di
Cristo data in matrimonio, [683] avendo ceduto il cuore, la lingua, tutti
gli altri poteri ed energie al suo Signore e al suo servizio, può
ragionevolmente e con gratitudine accettare da lui le benedizioni, i
privilegi, la protezione, la supervisione e i doni che gli è piaciuto
promettere ad essa quale sua Sposa data in matrimonio.
Come
una donna che ha respinto un pretendente e ha rifiutato di dargli la mano
e il cuore non potrà logicamente contare su di lui, più tardi, in cerca
di premura, di protezione, di benedizione, di privilegi e di gioie che
egli aveva già offerto a lei spontaneamente, così coloro che rifiutano
continuamente il favore divino, al punto di rifiutarsi di fare una
consacrazione di tutto il loro piccolo al Signore, non potranno
legittimamente contare su di lui oppure chiedergli le benedizioni che ha
promesso a coloro che lo amano e che manifestano il loro amore mediante la
loro devozione, la loro consacrazione. Si dovrebbe riconoscere giustamente
questa distinzione tra coloro che credono puramente nel perdono dei
peccati per mezzo del Signore e coloro che hanno capito il valore di quel
favore e sono giunti alla consacrazione e al rapporto pieno con il
Signore. Il fatto che queste linee tracciate divinamente tra le diverse
classi di credenti non siano riconosciute più chiaramente è uno
svantaggio per entrambe le classi. La distinzione tra i credenti e i non
credenti dovrebbe essere definita rigorosamente. Tutti i primi dovrebbero
essere riconosciuti come fratelli, “della famiglia dei credenti”, ma
non così i secondi. Poi, la distinzione tra quei credenti che hanno fatto
la consacrazione di se stessi e quelli che non l’hanno fatta, dovrebbe
essere chiaramente definita e i primi dovrebbero essere riconosciuti quali
la Chiesa, la Nuova Creazione, il Sacerdozio Regale, a cui appartengono
tutte le promesse eccezionalmente grandi e preziose.
Se
queste distinzioni fossero chiaramente riconosciute tornerebbe a vantaggio
(1) del mondo, portando ad un’investigazione più dettagliata e ad una
fede più tangibile; (2) tornerebbe a vantaggio anche dei credenti non
consacrati, portandoli a rendersi conto che, senza arrivare ad una piena
consacrazione, non possono essere coeredi con i santi in nessun senso
della parola, sia nelle glorie future che nei privilegi e nelle gioie
presenti. (3) Rendersi conto di ciò, crediamo, avrebbe anche un effetto
stimolante sui non consacrati, portandoli più frequentemente ad una
decisione positiva dissipando i frutti [684] dell’immaginazione
infondati secondo i quali credere puramente in un modo o nell’altro in
Cristo, senza la consacrazione, li costituisce figli di Dio ed eredi e dà
loro il diritto a partecipare alle promesse divine di maggior valore che
hanno molta influenza sulla vita presente e su quella che verrà.
La
canna rotta non la spezzeremo e il lucignolo fumigante non lo spegneremo;
ma faremo sì che le canne rotte si rendano conto che per partecipare
adeguatamente alle benedizioni di Dio, presenti o future, debbono
avvalersi del favore divino a condizioni divine; debbono consacrarsi
completamente, se cessano di essere canne rotte, e debbono diventare utili
nel servizio del Signore. La fede senza fiamma non la spegneremo, ma la
attizzeremo per farla diventare una fiamma di amore sacro che produrrà
una consacrazione completa di sé, un sacrificio pieno, secondo l’invito
divino, e così porterà alla partecipazione nelle gioie presenti e
future.
Come
abbiamo già notato,* l’Apostolo dichiara che i bambini dei credenti
sono considerati insieme ad essi quali partecipanti alla grazia divina
della giustificazione, come non più empi, ma giustificati in un senso provvisorio.
Questa reputazione di giustificati e il rapporto che essa ha con la cura e
la provvidenza divina, continua dalla nascita fino all’età della
ragione; e tali bambini hanno evidentemente quasi lo stesso privilegio dei
giustificati in materia di preghiera, ricevendo anche in simile
proporzione le gioie e le benedizioni che ne derivano. Dalla primissima
infanzia si dovrebbe insegnar loro a ritenere l’Onnipotente, il Dio dei
loro genitori, quale il loro Dio, e da una tenera età si dovrebbe far
capire loro che come il genitore ha una reputazione nei confronti di Dio
attraverso Cristo, così indirettamente il figlio ha la sua reputazione e
il suo rapporto con Cristo attraverso il suo genitore. Il genitore o i
genitori consacrati in ogni casa Cristiana possono pertanto essere
considerati come, in un senso, i sacerdoti della famiglia e, mentre il
figlio può essere adeguatamente incoraggiato a pregare il Signore, non si
dovrebbe trascurare la lezione che la famiglia e tutti i suoi interessi ed
affari sono sotto la [685] supervisione divina come famiglia, per conto
del genitore o dei genitori consacrati, membri della Nuova Creazione. Al
figlio si dovrebbe insegnare a guardare al futuro con ansia allorché
l’espandersi della sua mente e del suo giudizio gli permetterà di fare
la piena consacrazione di se stesso al Signore e di entrare così nei
privilegi e nelle gioie promesse a tali consacrati.
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__________
Mentre
alle Nuove Creature in Gesù Cristo viene rivolta l’esortazione nel
testo che precede a non cercare, a non essere in ansia, a non pregare per
le cose terrene (cosa mangerete, cosa berrete, con che cosa vi vestirete,
ma ad affidare tutti questi affari alla sapienza e all’amore del Padre),
essi sono istruiti riguardo a quell’unica cosa per cui sarà molto
gradito al Padre che essi preghino e riguardo alla quale gli piacerà
molto rispondere alle loro preghiere. Quella cosa che essi dovrebbero
cercare in modo speciale e per la quale dovrebbero pregare in modo
speciale è lo Spirito santo, lo spirito di santità, lo Spirito di Dio,
lo Spirito di Cristo, lo Spirito della Verità, lo spirito di una mente
sana, lo spirito d’amore. Le parole del Maestro sono: “Se voi, dunque,
che siete malvagi, sapete dare buoni doni [terreni] ai vostri figliuoli,
quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito santo a coloro che
glielo domandano?” Luca 11:13
Qui,
allora, abbiamo informazioni chiare riguardo a ciò che dovrebbe essere la
base di tutte le nostre preghiere, se vogliamo che siano esaudite. Così
dobbiamo pregare se non vogliamo chiedere male. I nostri affetti debbono
risiedere nelle cose di lassù e non nelle cose di quaggiù, nel
rivestimento della giustizia di Cristo e nel nostro futuro abbigliamento
glorioso, quando saremo come nostro Signore e lo vedremo così com’è,
anziché con l’abbigliamento terreno. I nostri affetti debbono essere
rivolti al cibo spirituale, al pane che scende dal cielo e a tutte le
promesse preziose di Dio di cui Cristo è il centro e la sostanza. Questi
dobbiamo cercare, di questi ci dobbiamo appropriare; e riferita a questi,
pertanto, sarà la sostanza delle nostre preghiere. In tal modo il nostro
osservare, il nostro pregare e cercare quotidiani saranno in piena armonia.
Per di più, il ringraziamento dovrà prendere in gran parte il posto
delle richieste, dal tempo in cui [686] apprendiamo la lunghezza, la
larghezza, l’altezza e la profondità del provvedimento divino, sia per
la Nuova Creazione che per i nostri cari secondo la carne e per tutte le
famiglie della terra. Che potremmo chiedere di più o di meglio di quanto
Dio ha già promesso?
Di
sicuro non potremmo chiedere niente di più di quanto ci è stato promesso
riguardo alle glorie future della Nuova Creazione; né potremmo chiedere
di più riguardo alle gioie presenti della stessa classe. Ogni
provvedimento che la ragione potrebbe immaginare, ogni volere, ogni
necessità, sono già stati previsti per noi e sono già stati predisposti
e offerti perché noi li prendiamo. A noi manca semplicemente la sapienza
per sapere come prendere, come fare ad appropriarci di questi
provvedimenti divini. Ringraziando, perciò, noi chiediamo semplicemente
sapienza e grazia in modo tale da prenderne parte affinché la nostra
gioia possa essere piena. Perciò le nostre preghiere debbono essere per
una maggiore pienezza di Spirito santo, di sapienza che viene dall’alto.
Che
potremmo chiedere di più per conto del mondo di quello che la provvidenza
divina ha già disposto? Niente! I gloriosi “tempi della restaurazione”
promessi nella Parola vanno ben più in là della semplice risposta alle
grandi aspettative e speranze che gli uomini più saggi abbiano mai potuto
nutrire. Noi possiamo, perciò, soltanto ringraziare Dio, riconoscere la
sua bontà, cercando di cooperare con essa, e renderci conto del nostro
bisogno di sapienza. Di qui l’invito affinché possiamo chiedere
quest’aiuto dello Spirito santo o del potere di Dio: “sapienza che
viene dall’alto”. “Se alcuno di voi manca di sapienza, la chieda a
Dio, che dona a tutti liberalmente senza rinfacciare.” (Giacomo 1:5) Con
questa sapienza ci può essere data la capacità di comportarci, di
parlare e di agire in modo tale da essere utile agli altri; e in questa
direzione, perciò, dovrebbero essere rivolte le nostre preghiere, per
poter cooperare con Dio secondo i criteri generosi e benevoli che egli ha
già tracciato, di cui chiedere un miglioramento sarebbe un’assurdità.
Questo
grande privilegio di accesso alla presenza di Dio, questo grande
privilegio di entrare mediante la fede nel Santissimo, di accostarsi al
trono della grazia, di ottenere misericordia e di trovare aiuto in ogni
momento di bisogno, può essere adattato a tutte le svariate condizioni da
cui siamo circondati.
[687]
È nostro per il nostro uso personale affinché possiamo raccoglierci
individualmente con il Signore e comunicare con lui; e in virtù della sua
misericordia questa comunione con lui, questo separarci dalle cose che
distraggono, può essere goduta quando ci ritiriamo effettivamente dalla
compagnia di altri. Laddove ciò fosse impossibile e laddove non ci fosse
l’opportunità di inginocchiarsi e di alzare la voce anche solo in un
sussurro, è il privilegio della Nuova Creazione di avere accesso al Padre
nella comunione mentale. Quando si è per strada, quando si è circondati
da confusione e trambusto, il cuore può elevarsi e cercare sia la
sapienza che la forza presso il trono della grazia. Come sono benedetti
questi privilegi! Chi più li usa, più li gode. A differenza dalle cose
terrene, diventano più preziosi man mano che diventano più familiari.
La
preghiera nel circolo della famiglia è l’andare della famiglia nella
“cameretta segreta”, alla presenza del Signore, lontani dal mondo. Ciò
non può essere sempre possibile; ma dove si verifica l’opportunità,
non si dovrebbe trascurarla. Tuttavia, se non si può dar vita ad
un’occasione propizia, senza dubbio il Signore accoglierà la volontà
invece del fatto in sé e accorderà le benedizioni di conseguenza.
L’influenza dell’altare familiare e dell’incenso della preghiera che
sale da lì al Padre celeste e il riconoscimento fatto lì della sua
grazia, della sua misericordia, del suo potere e della sua benedizione,
porteranno di sicuro ulteriore benedizione, non solo al Sacerdote Regale
che in tal modo serve la sua famiglia, ma a tutti i membri di quella
famiglia. Un sentimento di riverenza verso Dio, di responsabilità verso
di lui e una presa di coscienza del suo amore, della sua cura protettiva,
resta in quella famiglia per tutto il resto della giornata. E se la sera
è nuovamente possibile radunarsi come famiglia per dare atto dei doni
divini del cielo e per rendere grazie, la benedizione non fa altro che
aumentare, come accadde al vasetto d’olio della vedova, quando l’olio
continuò ad essere versato in un vaso dopo l’altro. II Re 4:1-7
La
preghiera nella Chiesa è l’andare della famiglia del Signore nelle
“cameretta segreta” della presenza divina, lontano dal mondo. È
estremamente necessaria per il suo progresso, per la sua salute, per il
suo sviluppo spirituale. Trascurarla provoca di sicuro una perdita di
forza, una perdita di privilegio e di servizio e una perdita
corrispondente di [688] gioia. Tuttavia siamo completamente contrari al
tipo di preghiera pubblica cui si riferisce un giornale di Boston, quando,
nel dare il resoconto di un incontro religioso, ha detto: “Il rev.
dottore …ha formulato la preghiera più bella e più eloquente mai
rivolta ad un pubblico di Boston!” C’è troppo di questa sorta di
preghiera rivolta al pubblico invece della preghiera rivolta a Dio. Le
Scritture non solo incoraggiano tra il popolo del Signore le preghiere
pubbliche e fatte ad alta voce ma indicano anche che colui che prega
dovrebbe ricordarsi di coloro che stanno ascoltando in connessione con il
suo ministero e dovrebbe svolgere il servizio in maniera tale che chi
ascolta possa dire “Amen”, sia ad alta voce oppure in cuor suo. I Cor.
14:13-17
Fu la
sapienza che viene dall’alto, lo Spirito santo, che guidò l’Apostolo
Paolo, quando entrava in una nuova città con il Vangelo, a cercare quelli
che erano radunati in un posto “dove si era soliti pregare”. (Atti
16:13) E il fatto è che, di nuovo, entrambi la conoscenza e l’amore di
Dio abbondano di più tra quelle persone del suo popolo che pregano
l’una per l’altra, affinché la loro gioia sia piena. A prescindere da
quanti incontri possa avere il popolo del Signore per lo studio della sua
Parola e per lo sviluppo reciproco nella fede più santa, noi sosteniamo
che non si consideri adeguatamente iniziato nessun servizio senza che sia
stata invocata prima la benedizione del Signore sullo studio; e che non si
consideri adeguatamente concluso nessun incontro finché non sia
ringraziato il Signore per il privilegio e per le benedizioni godute, e
per la sua benedizione elargita affinché la Parola della sua grazia possa
essere veramente delizia per i cuori di chi ha ascoltato con desiderio
sincero di conoscere e di fare la sua volontà.
Fede un frutto dello Spirito e una parte
dell’eredità presente della Nuova Creazione
La fede
deve essere nostra prima di diventare figli di Dio, sì, prima della
nostra giustificazione, poiché noi siamo “giustificati mediante la fede”
prima di ricevere la pace con Dio e il perdono dei peccati. Perciò questa
fede che avevamo prima di ricevere lo Spirito santo, non può essere la
fede che è il frutto dello Spirito, il dono dello Spirito. La [689] fede
è l’operazione, l’esercizio delle nostre menti riguardo a Dio e alle
sue promesse. Coloro che non possono esercitare la fiducia in Dio, sia per
ignoranza sia per le condizioni degradate della mente, sono in uno stato
in cui è impossibile per essi essere benedetti secondo le disposizioni di
questa età del Vangelo; ma non in una condizione che li esclude da una
partecipazione alle benedizioni dell’età futura: l’età
Millenaristica. La chiamata di questa età del Vangelo è rivolta a coloro
che possono e che vogliono camminare per fede, non per visione, e chiunque
non può o non vuole camminare così non può ora camminare con Dio.
“Senza fede è impossibile piacere a Dio.” Chiunque non ha anzitutto
tale fede non può iniziare affatto nel tempo presente; e anche se avesse
anzitutto la fede, se essa non cresce e non si sviluppa, a costui mancherà
la forza di essere un vincitore; perché “Questa è la vittoria che ha
vinto il mondo: la nostra fede.” I Giovanni 5:4
Dovremmo
riconoscere una vasta differenza tra fede e credulità. Milioni di persone
sono creduli e superstiziosi e credono ad innumerevoli cose illogiche di
cui non hanno nessuna prova adeguata. E tali persone superstiziose che
credono a quello cui non dovrebbero credere, non si trovano solo nelle
terre pagane. Milioni di essi portano il nome di Cristiani, con qualche
collegamento denominazionale. La superstizione e la credulità sono da
condannare, da disapprovare, da evitare, da sopraffare. Si deve
incoraggiare, sviluppare, fortificare, far crescere la vera fede. La fede
di Dio è la fede, la confidenza, la fiducia che si basa sulle promesse
divine e non su tradizioni, su filosofie o su frutti di immaginazione
umani.
Se
crediamo che Dio è ciò che questo nome vuol dire, Colui che esiste
autonomamente, il Creatore onnipotente, onnisciente, tutto giusto, tutto
amoroso, e se crediamo che egli è colui che ricompensa coloro che
diligentemente lo cercano, l’effetto sarà che lo cercheremo, cercheremo
di sapere e di capire la sua Parola; e che, conoscendo e capendo ciò,
avremo confidenza in ciò; e che, avendo confidenza in ciò, dirigeremo il
corso della nostra vita di conseguenza. Questo inizio di fede, sotto il
favore divino, è orientato verso Cristo quale la via recente e vivente di
riunione con Dio e di restituzione [690] del suo favore. Man mano che
questa fede comprende Gesù e si esercita nell’obbedienza, essa si
accresce e la benedizione del Signore discende maggiormente su di essa,
illuminandola riguardo ai termini con cui si viene accettati e si diventa
membri della Nuova Creazione. La fede che cresce comprende le promesse di
Dio, di diventare eredi di Dio e coeredi con Gesù Cristo il Signore e
Redentore. La conseguenza è la benedizione dello Spirito, la generazione,
l’unzione, l’adozione quale figli.
La
conseguenza ulteriore è la maggiore illuminazione con la luce del
candeliere d’oro nel Santo, che permette all’occhio della fede di
vedere cose non viste dall’esterno, di riconoscere il ministero speciale
del Sommo Sacerdote rispetto alla luce, rispetto al pane della
proposizione, rispetto all’incenso dell’altare d’oro e presso il
trono di Dio al di là della cortina. Man mano che la fede viva,
obbediente assorbe pian piano queste varie caratteristiche del favore e
della benedizione divini, come rivelati nella Parola divina, essa diventa
sempre più forte, più chiara, e diventa una parte fondamentale della
nuova mente. Vede da questa posizione di vantaggio cose che non riusciva a
vedere prima e rispetto alle quali l’Apostolo dichiara: “Le cose che
occhio non ha vedute, e che orecchio non ha udite e che non sono salite in
cuor d’uomo [l’uomo naturale], sono quelle che Dio ha preparate per
coloro che l’amano.” I Cor. 2:9
Attraverso
la Parola della promessa, illustrata dallo Spirito, essa vede cose
eccezionalmente grandi e preziose, cose celesti, le glorie che si
raggiungeranno alla Prima Risurrezione, il Regno, che sarà stabilito
allora, il regno di giustizia che porterà la benedizione a tutte le
famiglie della terra, l’assoggettamento del peccato e la distruzione di
ogni individuo e di ogni cosa che non coopererà alla gloria di Dio e
secondo la legge divina dell’amore. La Nuova Creatura vede tutto ciò
con l’occhio della fede, l’occhio dell’intelletto; e l’Apostolo ci
assicura che quest’occhio guarda molte di queste cose che non sono
distinte e chiare all’occhio dell’uomo naturale, poiché “a noi Dio
le ha rivelate [691] per mezzo del suo Spirito, che investiga ogni cosa,
anche le cose profonde di Dio.” I Cor. 2:9, 10
Questa
fede generata dallo Spirito in cose non ancora viste è parte
dell’eredità presente della Nuova Creazione ed è intimamente associata
ad ogni sua speranza e ad ogni sua gioia, e dà l’unica anticipazione
possibile delle “glorie che verranno”. In realtà, come spiega
l’Apostolo, è la casa su cui sono edificate tutte le nostre gioie e
speranze. “La fede è la sostanza di cose in cui speriamo; l’evidenza
di cose non viste.” Attraverso di essa le cose che ancora non si vedono
diventano, per le nostre menti, tangibili come le cose che si vedono;
veramente, dice l’Apostolo, da questo punto di vista impariamo a
reputare che le cose che vediamo con i nostri occhi naturali sono
temporali, mentre le cose che non vediamo con i nostri occhi naturali, ma
guardiamo con gli occhi della fede, sono quelle reali, tangibili, eterne.
Quanto
sia necessaria la fede per raggiungere e mantenere la nostra eredità
presente, l’anticipazione delle benedizioni future, è chiaramente
rivelato dall’Apostolo Giacomo che, dopo aver detto: “Se alcuno manca
di sapienza, la chieda a Dio che dona a tutti liberamente senza
rinfacciare e gli sarà donata”, aggiunge: “ Ma che chieda con fede,
senza star punto in dubbio. Perché chi dubita è simile a un’onda di
mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Non pensi già quel tale di
ricever nulla dal Signore. Un uomo d’animo doppio è instabile in tutte
le sue vie.” (Giacomo 1:5-8) L’Apostolo in tal modo mostra come sia
impossibile per chiunque diventare un vincitore se non si diventa forti
nella fede. Quindi, le Scritture inculcano dappertutto la crescita nella
fede e bisogna che tutto il popolo del Signore preghi come fecero gli
Apostoli: “Signore, accresci la nostra fede”; e pregando in tal modo
essi usano i mezzi che Dio ha designato per il compimento di questa
preghiera. Se la loro preghiera è sincera, essi useranno seriamente quei
mezzi: cercheranno il Signore in preghiera, cercheranno di conoscere la
sua Parola, cercheranno di obbedirle, cercheranno e godranno del suo
servizio, cercheranno di rivestirsi di tutte le grazie dello Spirito; e
con questo atteggiamento, avranno una fede forte, piena assicurazione
della fede e “non inciamperanno giammai, ma sarà loro largamente [692]
provveduta l’entrata nel Regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù
Cristo”, a suo tempo. II Piet. 1:10, 11
Il canto alla vita della Nuova Creazione
La mia
vita scorre come una canzone infinita;
Al di sopra del lamento della terra,
Colgo il dolce inno, non lontano,
Che saluta una Nuova Creazione.
Tra tutto il tumulto e la lotta,
Sento suonare la musica;
Un’eco essa trova in cuor mio.
Come posso trattenermi dal cantare?
Che
importa se le mie gioie e il mio conforto muoiono!
Il Signore mio Salvatore vive;
Che importa se la tenebra mi circonda!
Dei canti egli mi offre nella notte.
Nessuna tempesta può scuotere la mia calma più profonda,
Mentre mi avvinghio a quel rifugio;
Poiché Cristo è Signore del cielo e della terra,
Come posso trattenermi dal cantare?
Alzo
gli occhi; la nuvola si assottiglia;
Sopra di essa vedo l’azzurro;
E di giorno in giorno questo sentiero si spiana,
Da quando per la prima volta ho cominciato ad amarlo.
La pace di Cristo dà refrigerio al mio cuore,
Una fonte sempre zampillante;
Tutte le cose sono mie poiché io sono suo.
Come posso trattenermi dal cantare?