Studi
Sulle Scritture
Serie 6 - La Nuova Creazione
STUDIO
9
IL
GIUDIZIO DELLA NUOVA CREAZIONE
GEOVA
IL GRANDE GIUDICE DELL'UNIVERSO—TUTTE LE BENEDIZIONI, I DONI, ECC.
VENGONO DA GEOVA, ATTRAVERSO IL FIGLIO—LA NUOVA CREAZIONE DEVE ESSERE
ASSOCIATA E COEREDE CON CRISTO—"OGNI POTESTÀ M'È STATA DATA IN
CIELO E SULLA TERRA"—IL GIUDIZIO DEL PADRE PER LA CONDANNA
DELL'UMANITÀ GIÀ ESPRESSO—IL GIUDIZIO DURANTE IL MILLENNIO È UN
GIUDIZIO DI MISERICORDIA E DI AIUTO—IL GIUDIZIO DI DISTRUZIONE FINALE
SARÀ GIUSTIZIA SENZA MISERICORDIA—GIUDIZIO DELLA NUOVA CREAZIONE
DURANTE L'ETÀ DEL VANGELO—LA NUOVA CREAZIONE GIUDICATA DALLA PERFETTA
LEGGE DELL'AMORE—LA SUPERVISIONE DEL CAPO GLORIOSO SUL CORPO—"CON
IL GIUDIZIO CON IL QUALE GIUDICATE, SARETE GIUDICATI"—DOVREMMO
ESAMINARE NOI STESSI ADEGUATAMENTE—"COLUI CHE MI GIUDICA È IL
SIGNORE"—LA CHIESA DOVREBBE GIUDICARE ALCUNE QUESTIONI—"SE
TUO FRATELLO PECCA CONTRO DI TE"—PERDONATE SETTANTA VOLTE SETTE
VOLTE—OFFESE CONTRO LA CHIESA—TUTTI NOI DOBBIAMO APPARIRE DAVANTI AL
TRIBUNALE DI CRISTO.
ABBIAMO
già visto* che tutto il mondo dell'umanità fu giudicato indegno della
vita eterna dal grande Sommo Giudice, Geova, quando Adamo, progenitore di
esso, fallì nella prova. "Per mezzo di un sol uomo il peccato è
entrato nel mondo e, come conseguenza [punizione o pena] del peccato vi è
entrata la morte, e in questo modo la morte è passata su tutti gli uomini,
perché tutti hanno peccato." (Rom. 5:12) Il fallimento di Adamo e la
pena di morte suggellarono la medesima pena per tutti i suoi figli. La sua
caduta, la sua imperfezione, il suo peccato, si estesero per via naturale,
e con forza ed impeto crescente, alla sua discendenza. Abbiamo già visto
che questa condanna fu una condanna giusta in tutti i sensi e quindi
irrevocabile; che il grande Giudice dell'Universo, avendo determinato
giustamente che l'uomo non era degno della vita eterna, non poteva
invertire la pena che aveva lui stesso inflitta, dichiarare come giusto ciò
che era errato e degno di vita eterna ciò che non lo era. Tuttavia
abbiamo visto anche che egli ebbe compassione [396] di noi e che nel suo
piano benigno, ideato prima della fondazione del mondo, egli contemplò e
provvide alla redenzione di tutta la razza,* per concedere un'altra prova,
o un altro giudizio per tutti i suoi membri, facendo sì che il suo Figlio
Diletto, la cui opera redentiva rese possibile la riconciliazione, fosse
il Mediatore di questa nuova disposizione per la benedizione e
l'elevazione morale della nostra razza. Abbiamo visto anche che il periodo
di questo giudizio e di questa elevazione morale di chi è obbediente, è
l'età Millenaristica, scelta quale Giorno del Giudizio del mondo, o
giorno della prova, e deve dare a ciascuno un'opportunità non solo di
giungere ad una conoscenza del Signore e di entrare in armonia con lui, ma
deve anche esaminare, basandosi sulla lealtà e sull'obbedienza, se si è
degni della vita eterna. Di questo tenore troviamo le parole dell'Apostolo:
"Dio ha fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con
giustizia per mezzo dell'uomo ch'egli ha stabilito."† Atti 17:31
__________
*Vol.
I, Cap. vii.
__________
È
fuori discussione che Geova stesso sia il Sommo Giudice e che la sua Legge
sia lo standard sommo, secondo il quale si debbono prendere tutte le
decisioni concernenti la vita eterna. In tal modo l'Apostolo si riferisce
a "Dio, il Giudice di tutti," e mostra che si sta parlando del
Padre visto che nella stessa frase si fa riferimento a Gesù come
Mediatore. (Ebr. 12:23, 24) Dice ancora: "Il Signore giudicherà il
suo popolo" e: "A me appartiene la vendetta, Io darò la
retribuzione, dice il Signore." (Rom. 12:19; Ebr. 10:30) In queste
citazioni tratte dall'Antico Testamento (Sal. 50:4; Deut. 32:35, 36), il
Signore si riferiva a Geova. L'Apostolo dice ancora: "Dio giudicherà
i segreti degli uomini ['il mondo'] per mezzo di Gesù Cristo." (Rom.
2:16; 3:6) Geova fu il Legislatore e il Giudice originario e manterrà per
sempre questa posizione e questo rapporto con tutte le sue creature. Non
darà il suo onore ad un altro. (Is. 42:8) Allo stesso modo ci fa notare
nelle Scritture che egli è il Pastore del suo popolo. "Geova è il
mio Pastore; nulla mi mancherà." (Sal. 23:1) Nuovamente chiama se
stesso il Redentore del suo popolo: "Ogni [397] carne riconoscerà
che io, Geova, sono il tuo Salvatore e il tuo Redentore." (Is. 49:26)
Nel senso più sublime della parola Geova stesso è il centro di tutto il
piano della salvezza e di ogni suo aspetto; ed ogni altra veduta in
materia è una veduta difettosa.
__________
*Vol.
V.
†Vol.
I, Cap. viii.
__________
Tuttavia,
come piacque al Padre di creare tutte le cose attraverso il Figlio
(Giovanni 1:1), così in tutte le cose gli piacque esaltare nostro Signore
Gesù quale suo strumento onorato. Da questo punto di vista vediamo che
tutta la benedizione, tutta l'autorità, tutti i doni, procedono dal Padre
e attraverso il Figlio e che i membri della Nuova Creazione, associati al
Figlio, sono con lui resi in tal modo ministri e coeredi della grazia di
Dio.
Il
Padre Celeste "riposa dal suo lavoro" e fa uso del suo Figlio
come suo agente onorato in un senso così completo che il nostro caro
Redentore potette dire: "Il Padre non giudica alcuno, ma ha dato
tutto il giudizio al Figlio." (Giovanni 5:22) Nostro Signore pronunciò
queste parole prima di finire l'opera che il Padre gli aveva dato da
compiere sul Calvario, ma egli parlò dal punto di vista di quest'opera
completata; poiché, come abbiamo già visto, la prova relativa alla sua
idoneità per l'opera che il Padre si era proposto doveva essere
determinata dalla sua fedeltà fino alla morte. In tal modo egli non solo
dimostrò che era degno di essere un Sommo Sacerdote fedele e
misericordioso, ma con il suo stesso sangue garantì un Nuovo Patto a nome
dell'umanità e aprì la nuova via della vita e ottenne "le chiavi
della morte e della tomba", il diritto di dire ai prigionieri nella
grande prigione della morte: "Venite fuori" e il diritto di
benedire e di sollevare tutti coloro che ascolteranno obbedienti la sua
voce. Strettamente parlando, fu dal momento della risurrezione di nostro
Signore che il Padre affidò tutto il giudizio
al Figlio e fu allora che dichiarò: "Ogni potestà [autorità] m'è
stata data in cielo e sulla terra" (Mat. 28:18) e la prima volta che
esercitò la sua autorità fu quando dette la missione ai suoi apostoli,
quali suoi rappresentanti, di iniziare l'opera di raccolta dei membri
della classe della Sposa, la Chiesa, l'Ecclesia,
i suoi propri compagni membri della Nuova Creazione.
[398]
Il giudizio del Padre rispetto
all'umanità era stato già espresso, ed aveva condannato tutti; e
qualsiasi altro giudizio da parte sua, sotto le leggi della giustizia
assoluta, non poteva essere di particolare utilità per nessuno
appartenente alla stirpe condannata, visto che tutti avevano "peccato
e non erano all'altezza della gloria di Dio". "Non c'è nessun
giusto, no, nemmeno uno"; e lo standard divino non accetta niente che
non sia all'altezza della giustizia assoluta: la perfezione. La
disposizione divina, quindi, fu che nostro Signore Gesù doveva essere il
Mediatore, l'intermediario, colui che doveva soddisfare la giustizia e
rappresentare la stirpe caduta, e colui al quale la giustizia del Padre
guardava come rappresentante dell'uomo, e che era responsabile per la
stirpe. Gesù occuperà il rapporto di mediatore tra Dio e gli uomini
finché non avrà completamente compiuto l'opera progettata, finché non
avrà riportato nell'armonia piena con Dio ogni creatura che, venendo
condotta ad una conoscenza del suo Creatore e delle sue giuste leggi,
desidererà essere e agire in completa armonia con essi. Più che questo,
il suo "giudizio completo" comprenderà la distruzione di ciò
che troverà, poiché egli non solo premierà coloro che sono obbedienti,
ma "distruggerà coloro che distruggono la terra", distruggerà
i peccatori ostinati, distruggerà prendendoli dal popolo tutti coloro che
non ascoltano la sua voce, il suo comando, le sue istruzioni, mettendo
sotto i suoi piedi tutto il peccato e tutta l'insubordinazione, incluso
persino l'ultimo nemico: la morte. I Cor. 15:25-28; Apoc. 11:18; II Tess.
2:8; Ebr. 2:14
Questo
giudicare sarà in parte come Mediatore durante il Millennio (tenendo
conto delle imperfezioni dell'umanità, punendo e premiando al fine di
correggere) e in parte come vicario, o rappresentante, di Geova, alla fine
del Millennio, elargendo le ricompense eterne di vita eterna a coloro che
saranno trovati degni e di distruzione eterna a coloro che saranno trovati
indegni. E quest'ultimo giudizio di distruzione seguirà la falsariga
della giustizia senza misericordia, visto che gli utilizzi appropriati
della misericordia e gli scopi di essa saranno stati completati dal regno
Millenaristico di lui, regno in cui la misericordia e l'aiuto saranno
estesi a ciascun membro della stirpe dal suo Redentore. E il corpo di
Cristo, la Chiesa, sarà associato a lui in tutti i vari aspetti della
[399] benedizione, del giudizio, del governo, della correzione, ecc.
dell'età Millenaristica di compassione e di giovamento e, forse, anche
nel pronunciare e nell'infliggere le ricompense e le punizioni finali.
Prima
di procedere nel prendere nota in particolare del giudizio o della prova della Nuova Creazione durante l'età del
Vangelo, prima del Regno Millenaristico, dovremmo inculcare bene nelle
nostre menti il fatto che tutte queste procedure, giudizi,
ecc. vengono dal Padre, sebbene attraverso il Figlio e attraverso la
Chiesa; proprio come leggiamo anche rispetto alla risurrezione dei morti,
che Dio risuscitò dai morti nostro Signore Gesù mediante la sua stessa
potenza, e che risusciterà anche noi; e capiamo che questa affermazione
è in piena armonia con la dichiarazione di nostro Signore che dice:
"Io lo risusciterò nell'ultimo giorno." "Tornerò e vi
accoglierò presso di me." "Io sono la risurrezione e la
vita." I Cor. 6:14; Giovanni 6:39; 14:3; 11:25
Il giudizio
o la prova della Nuova Creazione deve aver luogo durante questa età del
Vangelo, prima che il Millennio sia completamente iniziato; perché è la
Nuova Creazione, Capo e corpo, che deve compiere l'opera dell'età
Millenaristica. È in armonia con ciò quanto il Signore dichiara quando
dice che noi "non verremo sotto la condanna [krisis:
giudizio] con il mondo [non prenderemo parte al giudizio o alla prova del
giorno Millenaristico del mondo], ma siamo [già] passati dalla morte alla
vita [prima del mondo]", giustificati dalla fede e dall'obbedienza
come membra del suo corpo. (Giovanni 5:24) Così, allora, il tempo
presente, la vita presente, per ciascuno dei consacrati è il suo giorno
del giudizio, il suo giorno della prova, il suo giorno dell'esame, per
determinare se sarà considerato degno della vita o meno secondo i termini
della sua vocazione e della sua consacrazione. Le parole dell'Apostolo
concordano con questo: "Il giudizio [krima,
la decisione finale] ha da cominciare dalla casa di Dio." (I Piet.
4:17) Come suggerisce l'Apostolo, ciò dà alla Nuova Creazione un'idea
elevata dei requisiti, o delle condizioni divine per la vita eterna,
quando costoro considerano che coloro che hanno abbandonato il peccato e
si sono disposti a conoscere e a fare la volontà divina dovranno passare
per [400] un periodo di prova per esaminarli e per perfezionare in loro il
carattere, in modo tale che il Signore possa dare l'approvazione.
Chi è il Giudice della Nuova Creazione? E qual
è
la Legge o lo Standard in base al quale essa viene giudicata?
Rispondiamo
che noi veniamo giudicati in base alla perfetta Legge dell'Amore del
nostro Padre Celeste, che siamo stati giustificati da lui ("È Dio
che giustifica") e che i voti della nostra consacrazione sono stati
fatti a lui e che tutta la Nuova Creazione, il Capo come anche i
membri-subordinati, è soggetta al Padre quale "Dio, il Giudice di
tutti". Ma ciò non cambia né interferisce con quanto abbiamo già
visto rispetto ai metodi del Padre nel trattare con noi. Quando tratta con
noi e ci permette di avvicinarci al trono della sua grazia celeste, è
perché ci ha reso accettabili nel Diletto, nel nostro Signore e Capo,
sotto il cui manto di giustizia, soltanto, possiamo avvicinarci al Padre o
avere il suo favore. Ciò nonostante, tutto il potere, tutta l'autorità,
è conferita al Figlio, quale agente e rappresentante del Padre, e quindi
vediamo che, anche se tratta direttamente con il Padre, egli ci concede
udienza solo attraverso il nostro Avvocato, proprio come un procuratore
legale rappresenta il suo cliente in un tribunale terreno. Il mondo non
avrà accesso al Padre, o non tratterà direttamente con lui, attraverso
un Avvocato durante l'età Millenaristica, ma anzi tratterà direttamente
con il Cristo fino alla fine di essa, allorché coloro che hanno raggiunto
la perfezione saranno presentati al Padre.
La
Nuova Creazione è tutta generata dal Padre: i figli suoi e non i figli di
Cristo; ed è il Padre che castiga ogni figlio che riceve. Ed è anche
verso il trono della grazia del Padre che ci viene detto di pregare in
modo speciale: l'accesso ad esso ci è stato aperto da Gesù nostro
Redentore. Eppure, le parole del nostro Redentore sono vere nel senso più
assoluto: "Nessuno giungerà al Padre se non attraverso di me."
Il rapporto del Signore Gesù con la Chiesa è quello del Capo con il
corpo e il Capo prende nota, formula dei giudizi e fa delle determinazioni
per quanto concerne tutti gli interessi del corpo stabilendo la linea di
condotta, controbilanciando le difficoltà, alleviando e portando [401]
aiuto e conforto generale, sostegno e forza a ciascun membro facendo uso
di frequente dei propri compagni membri del corpo quali ministri o
servitori di esso. Tuttavia, dato che ogni aspetto di quest'opera è fatto
nel nome del Padre, e mediante istruzione del Padre, esso è giustamente
considerato del Padre e fatto mediante il Figlio. I Cor. 8:6
È in
accordo con ciò che leggiamo anche: "E se invocate come Padre colui
che senza riguardi personali giudica," ecc. Ed ancora: "Il Padre
mio è il vignaiuolo: ogni tralcio che in me non dà frutto egli lo toglie
via; e ogni tralcio che dà frutto, lo rimonda [pota] affinché ne dia di
più." (I Piet. 1:17; Giovanni 15:1, 2) Ciò nonostante, che il
nostro Capo sia riconosciuto pienamente come avvocato, e che queste
discipline, potature, ecc. siano compiute in noi e per noi attraverso di
lui, quale agente del Padre, è reso manifesto dalla dichiarazione dello
stesso Apostolo: "è una cosa spaventosa cadere nelle mani del Dio
vivente." Così ci insegna che non siamo direttamente nelle mani del
Dio vivente, né direttamente sotto l'amministrazione della sua Legge
inflessibile. Noi siamo in Gesù Cristo, ricoperti dal suo merito, e il trattamento che
riceviamo passa attraverso di lui come nostro Capo e Maestro, sotto i
provvedimenti misericordiosi del Patto di Abramo, reso operativo nei
nostri confronti, dal suo sangue.
La supervisione del Capo glorioso
sul corpo
Non
potevamo dubitare dell'amore e della cura del nostro Capo glorificato
verso la sua Chiesa ("corpo", "sposa") anche se non ci
aveva fatto nessuna dichiarazione esplicita in materia. Tuttavia, nel suo
ultimo messaggio ai suoi fedeli, egli mostra molto particolarmente che è
egli che siede quale raffinatore e purificatore dei Leviti antitipici,
compreso il Sacerdozio Regale. Ascoltate attentamente le sue parole alle
sette chiese dell'Asia Minore, rappresentanti delle sette epoche
dell'esperienza dell'unica Chiesa:
"Ricordati
dunque donde sei caduto, e ravvediti, ...se no, verrò a te e rimuoverò il tuo candelabro." "Sii fedele
fino alla morte, e io ti darò
la corona della vita." "Ho
alcune poche cose contro di te, ...ravvediti, o se no, verrò tosto da te e combatterò contro di te con la spada della mia
bocca." "A chi vince io darò
della [402] manna nascosta da mangiare." "Ho
alcune poche cose contro di te, perché tu tolleri quella donna Jezabel,
... Le ho dato tempo per ravvedersi...La getterò...in una gran tribolazione, ...e metterò a morte i suoi figlioli; e tutte le chiese conosceranno che
io sono colui che investiga le
reni e i cuori: e darò a ciascuno
di voi secondo le vostre opere....A chi vince e persevera nelle mie
opere sino alla fine, io darò
potestà sulle nazioni." "Non
ho trovato le opere tue compiute nel cospetto del mio Dio...Chi vince,
...non cancellerò il suo nome dal libro della vita." "Queste
cose dice chi ha le chiavi di Davide, colui che apre, e nessuno chiude;
colui che chiude e nessuno apre." "Ecco, io ti do di quelli della sinagoga di Satana, ...li farò venire a
prostrarsi dinanzi ai tuoi piedi e conosceranno che io ti ho amato. Perché
tu hai serbata la parola della mia costanza, anch'io ti guarderò dall'ora del cimento che ha da venire su tutto il
mondo." "Chi vince io lo farò
una colonna nel tempio del mio Dio." "Perché sei tiepido, e non
sei né freddo, né fervente, io ti
vomiterò dalla mia bocca." Io ti consiglio di comprare da me
dell'oro affinato col fuoco, affinché tu arricchisca; ...Tutti
quelli che amo, io li riprendo e li castigo; abbi dunque zelo e
ravvediti." Apoc. 2 e 3
Richiamiamo
alla mente anche le parabole del Signore sui Denari e sui Talenti, in
entrambe le quali egli rivela che al suo ritorno darà le ricompense ai
suoi fedeli; "a coloro che con perseveranza paziente nel fare il bene
cercheranno la gloria, l'onore e l'immortalità [egli darà] la vita
eterna"; agli altri, il giusto castigo nel giorno del giusto castigo.
Le parabole illustrano chiaramente la distribuzione di queste ricompense
ai suoi servitori, secondo i gradi di fedeltà, da parte del "giovane
nobiluomo" dopo essere stato investito dell'autorità regale; e
dimostrano che di conseguenza i suoi nemici vanno combattuti. Eppure
l'Apostolo attribuisce entrambi, la ricompensa e il castigo, al Padre. La
chiave di lettura della questione si trova nelle parole di nostro Signore:
"Io e il Padre mio siamo una cosa sola", noi agiamo all'unisono
in ogni questione.
"Non giudicate affinché non siate giudicati.
Poiché con
il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati."
— (Mat. 7:1, 2) —
I
giudici competenti della Chiesa sono il Padre e il Figlio e quest'ultimo
è il rappresentante del Padre, al quale il Padre ha dato tutto il
giudizio. (Giovanni 5:22, 27) [403] Le Nuove Creature non hanno la
competenza per essere giudici l'una dell'altra, per due motivi: (1) Poche
di loro comprendono e colgono in pieno la Legge divina dell'Amore che
governa tutti. (2) Evidentemente poche sono in grado di leggere i loro
propri cuori senza errare; molte o giudicano se stesse troppo severamente
o con troppa indulgenza e quindi dovrebbero rifiutare con modestia di
mettersi a giudicare il cuore di un'altra i cui motivi potrebbero restare
lungi dall'essere compresi. È perché non siamo competenti per giudicare
che il Signore, mentre ci riassicura che questa sarà una delle nostre
funzioni future nel Regno, dopo essere stati qualificati mediante la
partecipazione alla Prima Risurrezione, proibisce per ora tutti i giudizi
privati tra i suoi seguaci; e li minaccia dicendo che se persisteranno nel
giudicarsi a vicenda non si dovranno aspettare misericordia e indulgenza
maggiore di quanto non ne dimostrino agli altri. (Mat. 7:2; Luca 6:38) Lo
stesso concetto è rinforzato nella preghiera dataci come modello: "Rimettici
i nostri debiti [colpe] come li rimettiamo ai nostri debitori." Mat.
6:12
Questa
non è una regola arbitraria in base al quale il Signore ci tratterà
ingiustamente e senza generosità, se trattiamo in questo modo gli altri:
anzi, viene implicato un principio corretto. Noi siamo "per natura
figli del giusto castigo", "vasi fatti per la distruzione";
e sebbene il Signore proponga con misericordia di benedirci e di
sollevarci dai nostri peccati e dalle nostre debolezze e di renderci
perfetti attraverso il nostro Redentore, egli farà ciò solo a condizione
che noi accettiamo la sua Legge dell'Amore e vi conformiamo il nostro
cuore. Egli non propone di accettare persone non rigenerate e non propone
di avere nella sua famiglia "figli del giusto castigo". Per
essere idonei ad occupare un posto qualsiasi nella casa del Padre dotata
di molte mansioni [piani dell'essere] (Giovanni 14:2) tutti debbono
cessare di essere figli del giusto castigo e diventare figli dell'Amore,
cambiati di gloria in gloria dallo Spirito di nostro Signore, lo spirito
d'Amore. Pertanto chiunque si rifiuta di sviluppare lo spirito d'Amore e,
in opposizione ad esso, insiste nel giudicare senza carità i propri
compagni discepoli, dà prova di non star crescendo in conoscenza e grazia,
perché non è stato cambiato di gloria in gloria nella somiglianza del
cuore con quello del Signore, prova che non è un vero seguace del Signore
e quindi non gli si dovrebbe mostrare misericordia oltre a quella [404]
che egli impiega giustamente nell'imitare il suo Signore. Quanto sia
simile al Signore (nell'amore) sarà rivelato dalla misericordia che ha,
dalla generosità in pensieri, parole ed opere verso i suoi compagni.
Oh, che
tutti coloro che sono generati dallo Spirito, la "Nuova Creazione",
possa rendersi conto che questo spirito di giudizio (di condanna), ahimé!
così comune (in verità, quasi il "peccato più frequente" del
popolo del Signore) dà la misura della loro mancanza dello spirito
d'Amore, la loro mancanza dello Spirito di Cristo, che, totalmente assente,
darà la prova che "non siamo di lui". (Rom. 8:9) Siamo convinti
che più presto ci accorgiamo di questo fatto, più velocemente progredirà
la grande trasformazione "di gloria in gloria", così essenziale
per essere accettati, alla fine, come membri della Nuova Creazione.
Pochi,
però, tra il popolo del Signore si accorgono fino a che punto giudicano
gli altri e che fanno ciò con una durezza che, se fosse applicata nei
loro confronti dal Signore, li escluderebbe di sicuro dal Regno. Avremmo
potuto aver paura che, stando alla promessa generosa di nostro Signore
secondo cui saremo giudicati con la stessa indulgenza con la quale
giudicheremo gli altri, la tendenza sarebbe stata di essere troppo
benevolenti, troppo misericordiosi e che "non pensar male"
sarebbe stato portato agli estremi. Ma no! Tutte le forze della nostra
natura caduta sono saldamente fissate in direzione opposta. È più di
diciotto secoli da quando nostro Signore fece quella proposta generosa di
giudicarci con la stessa indulgenza con cui noi giudicheremo gli altri,
eppure quanto pochi potrebbero dire di meritare molta misericordia in base
a quella promessa! Ci sarà utile esaminare la nostra propensione a
giudicare gli altri. Facciamolo con atteggiamento devoto.
La
mente caduta o carnale è egoista; e in modo proporzionale alla misura in
cui è per sé stessa, essa è contro
gli altri, disposta ad approvare o a scusare se stessa e a disapprovare e
a condannare gli altri. Questo è così completamente connaturato da
essere un'abitudine inconscia come quando sbattiamo le palpebre o
respiriamo. Questa abitudine è più pronunciata in chi raggiunge
un'istruzione di livello superiore. La mente riconosce ideali e standard
più elevati e subito misura tutti con questi e, di sicuro, trova qualcosa
che non va in tutti. Si diletta ad enumerare le debolezze e gli errori
degli altri, mentre [405] ignora i propri dello stesso o di altro genere
e, a volte, si diletta persino ipocritamente a denunciare le debolezze di
un altro per il solo scopo di nascondere le proprie o di dare
l'impressione di possedere un carattere superiore riguardo al punto in
questione. Tale è la disposizione miserabile, spregevole della vecchia
natura caduta. La nuova mente, generata dallo Spirito del Signore, lo
Spirito santo d'Amore, è in conflitto con questa vecchia mentalità di
egoismo sin dall'inizio, sotto la guida della Parola del Signore, sotto la
Legge dell'Amore e la Regola d'Oro, e lo diventa sempre di più man mano
che cresciamo in grazia e conoscenza. All'inizio tutte le Nuove Creature
non sono altro che "piccoli bimbi in Cristo" e comprendono solo
vagamente la nuova Legge; ma se la crescita non ha luogo, se non si
capisce la Legge dell'Amore e ci si mette all'altezza di essa, non si può
vincere il sommo premio.
La
Legge dell'Amore dice: "È una vergogna che le debolezze e i difetti
dei fratelli o degli altri vengano smascherati davanti al mondo; è una
vergogna che la pietà e la compassione non si siano fatte subito avanti
per dire una parola in loro difesa, anche se è troppo tardi per stendere
un manto di carità sulle loro mancanze per coprirle completamente! Come
il nostro nobile e amoroso Maestro dichiarò in un'occasione, quando gli
fu chiesto di condannare una peccatrice: "Chi è senza peccato fra di
voi scagli la prima pietra." La persona che non ha fragilità sue
proprie potrebbe essere scusata in qualche modo per il fatto che assume la
posizione di esecutrice della Giustizia senza che le venga richiesto dal
Signore, vendicandosi dei malfattori, smascherandoli, ecc.; tuttavia
troviamo che il nostro Maestro, che non conobbe nessun peccato, ebbe così
tanto Amore in cuor suo che fu disposto a condonare e a perdonare
piuttosto che a punire, a smascherare e a rimproverare. E sarà senza
dubbio così per tutti coloro che sono generati dal suo Spirito: in
proporzione di quanto cresceranno a sua somiglianza saranno gli ultimi a
chiedere vendetta, gli ultimi a mettere in atto le punizioni con la lingua
o in altro modo, fino a che non saranno ordinati dal Sommo Giudice di
farlo. Egli, invece, ci insegna: "Non giudicate nulla prima del suo
momento" e dichiara: "A me appartiene la vendetta."
L'Apostolo
ha delineato bene lo spirito d'Amore, quando dice: "L'Amore tollera
ed è benevolo" nei confronti di chi fa il male. "L'Amore non ha
invidia" del successo [406] degli altri, non cerca di sminuire il
loro onore o di impedir loro di raggiungerlo. "L'Amore non si vanta,
non si gonfia", e, di conseguenza, non cerca mai di sminuire lo
splendore degli altri per far risplendere, in contrasto, se stessi. Esso
"non si comporta in modo sconveniente", smoderatamente, non ha
desideri estremi ed egoisti ed evita i metodi estremi. L'Amore "non
cerca ciò che non gli appartiene", non brama gli onori o la
ricchezza o la fama degli altri, ma si diletta nel vederli benedetti e
aggiungerebbe dell'altro a queste benedizioni piuttosto che sminuirle.
L'Amore "non viene facilmente provocato" anche se per dare
ricompense giuste: ricordando la sofferenza presente di tutta la stirpe
attraverso la caduta, esso è comprensivo piuttosto che adirato. L'Amore
"non pensa il male"; non solo non inventerà e non immaginerà
il male, ma è così disposto a concedere il beneficio del dubbio che
"le ipotesi malvagie" gli sono estranee. (Confrontare I Tim.
6:4.) L'Amore "si rallegra non dell'iniquità, ma della Verità [rettitudine]":
quindi si diletta nello scoprire e nel rendere note parole o azioni nobili,
ma non ha nessun piacere, anzi evita, di smascherare parole o fatti
ignobili. L'Amore "copre ogni cosa" come con un manto di
compassione, poiché niente e nessuno è perfetto al punto da essere
all'altezza di sostenere un'ispezione generale. L'Amore previene ed ha
sempre pronto il manto della benevolenza. L'Amore "crede in tutte le
cose", non è disposto a contestare affermazioni di buone intenzioni,
ma piuttosto ad accettarle. L'Amore "spera ogni cosa "
contestando il più a lungo possibile il pensiero di depravazione totale.
L'Amore "sopporta ogni cosa "; è impossibile fissare un limite
oltre il quale rifiuterebbe colui che si pente veramente. L'Amore
"non viene mai meno". Altre grazie e altri doni possono essere
utili al loro scopo e poi passano; ma l'Amore è un principio così
basilare che, una volta acquisito, può essere nostro per sempre, per
tutta l'eternità. L'Amore è la cosa principale. I Cor. 13:4-13
Ma se
dire verità non lusinghiere è violare la Legge dell'Amore e la Regola
d'Oro, che dovremmo dire dell'abitudine ancora più vergognosa, ancora più
ripugnante, ancora più criminale, così diffusa non solo tra i Cristiani
mondani e quelli che sono tali solo di nome, ma anche tra i veri Cristiani,
cioè quell'abitudine di dire degli altri cose vergognose di cui non si è
accertata la verità? Oh, vergogna! Vergogna! Che uno che [407] appartenga
al popolo del Signore debba ignorare in tal modo le istruzioni del
Signore: "non dite male di nessuno"; e che uno, a meno che non
sia un piccolo bimbo o un principiante nella Legge dell'Amore, debba
fraintendere a tal punto il messaggio di questa Legge (cioè che nessuno
senza le prove più che certe date per bocca di due o tre testimoni deve
credere, e anche allora con riluttanza, male di un fratello o di un
prossimo, e tanto meno deve ripeterlo) da diffamare una persona basandosi
su testimonianze fondate su sospetti o dicerie!
Dovremmo esaminare noi stessi
"Se esaminassimo noi stessi, non saremmo
giudicati [puniti, corretti dal Signore]." I Cor. 11:31
La
Regola d'Oro sistemerebbe senza dubbio questa disposizione al "pettegolezzo"
sugli altri e sui loro affari. Quale diffamatore desidera essere diffamato?
Quale pettegolo desidera vedere le sue faccende, le sue difficoltà, le
sue debolezze discusse o in pubblico o in privato? Il "mondo"
non ha molte altre cose di cui parlare se non pettegolezzi e scandali, ma
la Nuova Creazione sarebbe preferibile che restasse muta finché non le
venga fornito dall'amore e dal piano di Dio il tema sublime di cui gli
angeli cantarono: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli; pace in
terra agli uomini di buona volontà." Allora le "parole delle
loro bocche e le meditazioni dei loro cuori" saranno accettabili al
Signore e saranno una benedizione per coloro con cui verranno in contatto.
L'Apostolo,
commentando sulla lingua, rivela che questo piccolo membro dei nostri
corpi possiede una grande influenza. Può disseminare parole benevole che
non moriranno mai, ma che continueranno ad andare sempre più avanti a
benedire i vivi e attraverso di loro a benedire coloro che non sono ancora
nati. Oppure, "ripiena di veleno mortale", può disseminare semi
velenosi di pensieri per amareggiare le vite di alcuni, per rovinare e
frantumare le vite di altri. L'Apostolo dice: "Con essa benediciamo [onoriamo]
Dio, anche il Padre; e con essa malediciamo [facciamo del male a] gli
uomini, ...dalla medesima bocca procede benedizione e maledizione.
Fratelli miei, non dev'essere così. La fonte getta essa dalla medesima
apertura il dolce e l'amaro?". Giacomo 3:8-11
"Dall'abbondanza
[408] del cuore la bocca parla"; per cui quando pettegoliamo sugli
altri, "intromettendoci" nei loro affari, ciò prova che una
grande parte del nostro cuore, se non di più, è vuoto per quanto
riguarda l'amore e la grazia di Dio. Questo pensiero ci dovrebbe portar
subito al trono della grazia e alla Parola per riempirci dello Spirito
come il Signore ha promesso a coloro che hanno fame e sete di esso. Se,
ancora peggio del pettegolezzo e dell'intromissione futile negli affari
degli altri, proviamo piacere a
sentire o a dire male degli altri, la condizione del cuore è ancora
peggiore: è traboccante di amarezza: invidia, cattiveria, odio, discordia.
E l'Apostolo dichiara che queste qualità sono "opere della carne e
del diavolo". (Gal. 5:19-21) Se solo potessimo riuscire a sbalordire
e a svegliare completamente la "Nuova Creazione" su questo
argomento; poiché se voi fate tali cose, di certo cadrete e non sarà
concessa a persone di questo tipo l'entrata nel Regno eterno del nostro
Signore e Salvatore Gesù Cristo.
L'essere
idonei per il Regno ci porta nella direzione completamente opposta, come
dichiara l'Apostolo Pietro: "Aggiungete alla fede vostra la pazienza,
l'amore fraterno, la carità;
perché se fate queste cose non cadrete mai; ma vi sarà largamente
provveduta l'entrata nel Regno eterno." (II Piet. 1:5-11) L'Apostolo
Giacomo è molto chiaro sull'argomento e dice: "Se avete nel cuor
vostro dell'invidia amara e uno spirito di contenzione, non vi gloriate e non
mentite contro la verità. Questa non è la sapienza che scende
dall'alto, anzi ella è terrena, carnale, diabolica." (Giacomo 3:14,
15) Chiunque ha un tale spirito diffamatorio ed amaro ha proprio il
contrario dello Spirito di Cristo, dello Spirito santo, dello spirito
d'Amore: che non menta né a se stesso né agli altri, che non si glori
nella sua vergogna, che non metta pertanto buio invece di luce, lo spirito
di Satana invece dello Spirito dell'Unto.
Procedendo,
l'Apostolo dichiara il segreto della confusione e della tensione che ha
piagato il popolo del Signore in tutte le epoche, l'essere in questa
condizione impura, solo in parte santificata, del cuore, dicendo:
"dove sono invidia e contenzione, ivi è disordine [inquietudine,
tensione] e ogni mala azione". (Giacomo 3:16) Se si permette a queste
erbacce della vecchia natura caduta di crescere esse non solo saranno
nocive ma [409] gradualmente riempiranno tutto e uccideranno tutti i fiori,
belli e dolci, e le grazie dello Spirito.
Esame adeguato di noi stessi
L'Apostolo
Paolo si riferisce alla nostra crescita adeguata come Nuova Creazione e al
nostro adeguato esame o alla critica adeguata di noi stessi, dicendo:
"Poiché, dunque, abbiamo queste promesse, diletti, purifichiamoci di
ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra
santificazione nel timore del Signore." (II Cor. 7:1) "Che uno
esamini se stesso", che prenda nota delle debolezze e delle sporcizie
della sua natura carnale, caduta, e che cerchi di purificare se stesso,
"spogliandosi" delle azioni dell'“uomo vecchio” e
rinnovandosi, cambiato di gloria in gloria, sempre di più ad immagine del
caro Figlio di Dio, che è il nostro Modello come pure il nostro Redentore
e Signore. Ma l'Apostolo Paolo esorta a purificare quanto più possibile
non solo la nostra carne, ma anche i nostri spiriti, o le nostre menti, di
modo che venga dato alla nuova mente, alla santa risoluzione, o alla
volontà, pieno controllo, e di modo che ogni pensiero sia portato sotto
il dominio della volontà di Dio quale espressa e illustrata da Cristo.
Sarà
invano sforzarci di purificare la carne e di tenere a freno la lingua se
trascuriamo il cuore, la mente, lo spirito, in cui si generano i pensieri,
che si manifestano semplicemente in sporcizie della carne, mediante parole
ed opere. Soltanto con la preghiera e la perseveranza si può portare a
termine questa purificazione necessaria per far parte del Regno: "perfezionare
la santità nel timore del Signore". E neppure possiamo sperare di
compiere una purificazione assoluta della carne. È la purificazione
assoluta della volontà, del cuore, dello spirito, che il Signore chiede (implicando
una purificazione della carne e della lingua da effettuare nel modo più
completo che possiamo). Dove egli vede il cuore puro e vero verso di lui e
il suo spirito e verso la sua legge dell'Amore, egli darà al tempo
opportuno il nuovo corpo adatto ad esso. "Beati i puri di cuore,
perché essi vedranno Iddio." Mat. 5:8
Quanto
sono appropriate qui le parole dell'Apostolo (II Tess. 3:5): "Il
Signore diriga i vostri cuori
all'amor di Dio", l'amore che è mansueto, mite, paziente, tollerante,
[410] che non cerca altro che se stesso e che non è gonfio, né invidioso,
che non pensa e non dice male, ma ha fiducia ed è benevolo e premuroso
secondo la Regola d'Oro. Dobbiamo avere i nostri cuori diretti
verso quest'amore, poiché quale Nuova Creazione stiamo camminando in una
nuova via, non secondo la carne ma secondo lo Spirito. E il Signore
soltanto è la nostra guida e il nostro direttore spirituale competente,
sebbene possa usare vari suoi "membri" quali suoi portavoce.
"Le tue orecchie udranno dietro a te [dal passato] una voce che dirà:
'Questa è la via: camminate per essa.' "Is. 30:21
"Anzi, non mi giudico neppur da me stesso;
colui che
mi giudica è il Signore"
Ci sono
alcuni nella Nuova Creazione, sebbene siano notevolmente pochi, che sono
disposti a giudicare se stessi senza misericordia. Giustamente criticano
ogni loro mancanza e debolezza e desiderano sbarazzarsi di ogni difetto;
ma ingiustamente si dimenticano che il Signore non ci conosce e non ci
giudica secondo la carne, ma
secondo lo spirito: l'intenzione,
la volontà, il desiderio, lo sforzo. Prestano troppa attenzione alle
parole dei Farisei: "Ti ringrazio che non sono come altri uomini"
e troppo poca attenzione alle parole ispirate del Signore, riguardo a ciò
su cui si fonda la sua accettazione e riguardo all'efficacia del sangue
prezioso per la purificazione da tutto il peccato. Costoro, nel ragionare
su questo argomento, dimenticano che se fossero perfetti o potessero agire
perfettamente, non avrebbero bisogno di nessun Salvatore, di nessun
Avvocato. Dimenticano che "mediante la grazia siete salvati" e
non mediante le opere della carne.
Questi
tali debbono applicare a se stessi le parole dell'Apostolo: "A me
pochissimo importa d'esser giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi,
non mi giudico neppur da me stesso. Poiché non ho conoscenza di colpa
alcuna [di errato in quanto amministratore]; non per questo però sono
giustificato: ma colui che giudica me [e tutti] è il Signore. Cosicché
non giudicate di nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il
quale metterà in luce le cose occulte delle tenebre e manifesterà i
consigli [le intenzioni] del cuore." I Cor. 4:3-5
La
nostra fiducia sta nel Signore e non nella nostra carne debole, caduta.
Abbiamo [411] appreso della grazia e della misericordia di Dio verso tutti
coloro che hanno fiducia in lui e cercano di camminare al
seguito dello spirito d'Amore, anche se incapaci di avvicinarsi completamente ai suoi requisiti perfetti. Noi non stiamo
sperando quindi di essere perfetti nella carne ma perfetti nello spirito,
nell'intenzione; e stiamo sperando che la nostra fede e il nostro zelo
siano considerati (attraverso i meriti del nostro Redentore) come ciò che
compensa per i nostri difetti effettivi, che detestiamo e contro cui
lottiamo ogni giorno. Al considerare questa questione chiediamo: "Dio
ama noi che per natura siamo stati figli del giusto castigo come gli altri?
Per noi, è pronto ad assisterci e a riconoscerci il merito di tutti i
buoni desideri e sforzi, anche se il risultato è un fallimento parziale o
totale? Sì, il Signore risponde: "Il Padre stesso vi ama."
L'Apostolo aggiunge: "Se Dio ci ha amato così tanto, mentre eravamo
peccatori, al punto da darci il suo Figlio Unigenito per la nostra
redenzione, "non ci darà gratuitamente insieme a lui tutte le cose
[a noi necessarie nella nostra gara per vincere il premio che ci pone
dinnanzi nel Vangelo]?". Di sicuro, se ci ha amato quando eravamo
peccatori, ci ama ancor più teneramente ora, ora che ci ha adottato nella
sua famiglia, ora che vede nei nostri cuori un serio desiderio di fare la
sua volontà. Abbiamo dunque molta fede e accostiamoci con coraggio al
trono della grazia celeste, affinché otteniamo
misericordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno.
Ebr. 4:16
Tuttavia
ci vuole una parola di cautela per l'altro lato di questa questione. Tutti
abbiamo visto esempi in cui l'umiltà e la mancanza di fiducia, la paura e
il non fidarsi della grazia di Dio, hanno dato luogo ad una condizione
opposta di impudente sicurezza di se stessi e di totale cecità per le
mancanze e di ringraziamenti farisaici per il fatto di essere meglio degli
altri. Ahimé! Questo è uno stato molto deplorevole e temiamo che sia uno
stato senza speranza! La fede è necessaria, ma deve essere fede in Dio e
non in se stessi. L'occasione di una tale deviazione si dovrà
generalmente trovare in un'incuria nell'osservanza della Legge dell'Amore
e della Regola d'Oro. Il pervertimento dell'amore per il Signore,
dell'amore per il suo benevolo piano, dell'amore per i fratelli della
Nuova Creazione e dell'amore compassionevole per il mondo dell'umanità è
l'amore di sé, la presunzione, l'onore di sé, la vanteria. Facciamo
attenzione a questo binario che porta lontano dal Signore, dal suo Spirito
e dal suo Regno. Sebbene le persone in posizione di [412] leadership siano
specialmente passibili di cadere in questa trappola, anche altri vi sono
esposti. Alcuni insufficientemente dotati di ogni qualificazione per fare
gli insegnanti diventano tristemente "gonfi nelle loro menti carnali":
orgogliosi, non sapendo nulla, "ma languono intorno a questioni e
dispute di parole, dalle quali nascono invidia, contenzione, maldicenza,
cattivi sospetti ... da tali allontanatevi. Poiché la pietà con animo
contento del proprio stato, è un gran guadagno." I Tim. 6:4-6;
vedere anche I Giovanni 3:9, 10.
La Chiesa dovrebbe esaminare alcune questioni
Mentre
a livello individuale non dobbiamo giudicare, o condannare, ma dobbiamo
aspettare il momento del Signore per la manifestazione pubblica della sua
decisione nei confronti di ciascun membro del suo corpo, la "Nuova
Creazione", nondimeno in alcuni casi la Chiesa [la congregazione: l'Ecclesia]
è, per dovere, tenuta a giudicare. Per esempio, l'Apostolo parla di un
caso di fornicazione pubblicamente riconosciuto dal trasgressore contro la
morale, e noto alla Chiesa intera; egli dichiara che nell'accettare quale
fratello un tale libertino così dichiarato la Chiesa ha commesso un
errore; e con questo ha esercitato la sua autorità apostolica nello
scomunicare il trasgressore, separandolo dal resto dei fratelli credenti,
dandolo figurativamente in mano a Satana, alle punizioni, per la
distruzione della sua carnalità, affinché lo spirito, la nuova mente,
possano così essere salvati alla fine, nel giorno del Signore, al momento
del giudizio alla fine di questa età. I Cor. 5:5
Soltanto
il Signore stesso o uno dei suoi apostoli (i dodici speciali di cui Paolo
fu l'ultimo, scelto al posto di Giuda) avrebbero l'autorità, il diritto,
di procedere nella maniera descritta; proprio come soltanto un apostolo
avrebbe potuto trattare come fece Pietro con Anania e Saffira. (Atti
5:1-11) L'Apostolo Paolo spiega ulteriormente la sua posizione, dicendo:
"V'ho scritto in un'epistola di non mischiarvi coi fornicatori. Non
del tutto [proibendo tutti i rapporti], però, con i fornicatori di questo
mondo, o con gli avari o i rapaci, o con gli idolatri; perché altrimenti
dovreste uscire dal mondo." Egli faceva loro osservare che una cosa
è avere relazioni commerciali con le persone non santificate, e [413]
un'altra questione interamente diversa è riconoscere questi individui
quali compagni membri della Nuova Creazione. E abbassare lo standard
morale non sarebbe neanche benevolenza verso il trasgressore; egli sarebbe
aiutato di più se osservasse che il suo essere impuro lo ha separato
completamente dal popolo del Signore; e se fosse veramente generato dallo
Spirito di Dio, egli si renderebbe conto più velocemente e più
acutamente della sua vera condizione, imparerebbe la lezione e si
pentirebbe. La Chiesa ha compiuto una carità errata verso il trasgressore
e, facendo ciò, ha rischiato una corruzione generale tra i suoi membri,
ed anche una contaminazione tra tutti i credenti in altre congregazioni
che abbiano potuto apprendere le condizioni che prevalgono a Corinto.
L'Apostolo
brevemente descrive a grandi linee il dovere dei fedeli in casi del genere;
e parafrasiamo le sue parole nel modo seguente: "Ciò che vi ho
scritto è che non dovreste associarvi con un uomo noto come un "fratello"
se costui è un fornicatore, o
un avaro, o un idolatra, o un oltraggiatore,
o un ubriaco, o una persona
rapace, no, nemmeno per una cosa come andare a mangiare insieme a una
tale persona. In verità, non sto cercando di giudicare il mondo; sto
invece esortandovi nel senso che come Chiesa voi dovreste esaminare coloro
che accettate come fratelli. Dio giudicherà coloro che sono di fuori: il
vostro dovere è di togliere di mezzo a voi i malvagi. I Cor. 5
L'Apostolo
segue questa argomentazione criticando il fatto che nelle dispute tra
fratelli c'era una disposizione ad andare presso dei tribunali terreni in
cerca di giustizia invece di sopportare il torto pazientemente se fosse
sopportabile, oppure, se fosse insopportabile, di sottoporlo alla Chiesa
come a un giudice di ultima istanza. L'Apostolo esorta affinché se Dio
sta scegliendo la Chiesa quale il futuro giudice del mondo, i suoi membri
sicuramente dovrebbero essere non meno equi e onorabili e giusti nelle
loro decisioni di quanto lo sia il mondo, anche ora. In queste questioni,
la persona tenuta in minor conto nella Chiesa dovrebbe essere ritenuta
degna di fiducia. Non c'è nemmeno uno fra di voi nella cui sapienza e
integrità tutti potreste implicitamente riporre fiducia e alla cui
decisione i disputanti si piegherebbero?
"Perché
piuttosto non soffrite un torto?" Perché non soffrite un'ingiustizia,
se ritenete la decisione non giusta? Perché non soffrite una perdita,
piuttosto che perpetuare le liti o ricorrere ai tribunali pubblici con
cause intentate gli uni contro gli altri? No, dice [414] l'Apostolo,
intuisco che non solo non volete soffrire ingiustizia per il bene della
pace e dell'armonia nel corpo di Cristo, ma peggio ancora, ci sono alcuni
fra di voi che vogliono far del male e defraudare persino i fratelli. Come
Chiesa del Signore, non state cercando di raggiungere il Regno? E
"non sapete che gli ingiusti [non retti] non erediteranno il Regno di
Dio? Non v'illudete: né i fornicatori,
né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati,
né i sodomiti, né i ladri,
né gli avari, né gli ubriachi, né
gli oltraggiatori, né i rapaci
erediteranno il Regno di Dio. E tali eravate alcuni: ma siete stati lavati;
ma siete stati santificati; ma siete stati giustificati nel nome del
Signor Gesù e mediante lo Spirito dell'Iddio nostro." I Cor. 6:1-11
Questa
dichiarazione delle offese che escludono dal Regno deve essere una guida
riguardo alle offese che dovrebbero escludere dalla comunione nella Chiesa.
Quindi in riferimento a tutte queste cose si addicono le parole: "Togliete
di mezzo a voi quella persona malvagia", chiunque essa sia, la quale
è colpevole di una di queste offese.
"Se tuo fratello pecca contro di te"
Ma
questo non è in contrasto con il comando di nostro Signore: "Non
giudicate per non essere giudicati"? Non dobbiamo prima giudicare il
malfattore individualmente e poi parlare, o fare pettegolezzi, su queste
sue malefatte o "parlar male" riguardo a costui, in modo tale
che la Chiesa intera possa conoscere e ripudiare il malfattore?
Assolutamente
no: se ben capita, la disposizione divina è pienamente in armonia con se
stessa. Se A e B hanno una controversia e A crede
di essere stato defraudato da B, egli non deve giudicare B nel senso di
condannarlo. Può solo dire: "C'è una controversia tra di noi e mi
sento sicuro di essere nel giusto; sebbene B possa sentirsi ugualmente
sicuro di sé pensando che abbia ragione lui e che non sia stato fatto
nessun torto a me." Può essere che A non escluda B dalla comunione
per via di questo fatto, poiché farlo sarebbe giudicarlo,
condannarlo. Può dire tra sé e
sé: "In tutti i casi è una questione banale, come tra fratelli, e
la lascerò passare, nella certezza che B, quale fratello nel [415]
Signore, non mi farebbe del male di proposito e che può darsi che il mio
punto di vista sia sbagliato e non il suo."
Tuttavia,
anche nel caso in cui non fosse capace di vedere le cose in questa maniera,
non deve giudicare, non deve decidere che egli ha ragione e che B ha torto,
ma deve andare da B e spiegare
qual è il suo punto di vista sulla questione e se possibile deve
raggiungere un accordo benevolo, fraterno, forse mediante concessioni
reciproche. Ma se non riescono a raggiungere un accordo, egli può
chiedere a due o a tre dei fratelli più saggi della Chiesa, C e D (fratelli
della cui sincerità B ed egli stesso abbiano grande fiducia), di recarsi
con lui a trovare B e parlare dell'argomento (non per condannare B,
poiché anche A stesso non deve averlo giudicato o condannato), ma per
ascoltare la questione alla presenza di A e B e dare il loro consiglio ad
entrambi. Questo dovrebbe risolvere la questione in modo soddisfacente per
tutti, specialmente se tutti hanno lo spirito d'amore l'uno per l'altro e
il desiderio di fare la cosa giusta l'uno verso l'altro quali membri del
corpo unto. Ma se non si è stabilita ancora la pace, non ci deve ancora
essere nessun giudizio, nessuna condanna, poiché due o tre fratelli non
possono "giudicare" ma
solo la Chiesa può farlo.
Se dopo
che A ha preso con sé C e D, costoro hanno dato la loro opinione contro A
e a favore di B, ciò dovrebbe por fine alla faccenda. In tali circostanze
A non può sottoporre la questione alla Chiesa. Evidentemente sarebbe
alquanto presuntuoso e "caparbio" portar avanti la cosa
ulteriormente. Gli insegnamenti del Signore non gli danno ulteriore
privilegio (Mat. 18:15); ma se fosse ancora insoddisfatto, non siamo al
corrente di alcun principio che sarebbe violato se prendesse due o tre
altri fratelli competenti e imparziali: E, F, G per andare da B a
riascoltare di nuovo il caso e a chiedere il loro parere.
Ma se,
dopo che A ha preso C e D per andare da B, tutti si sono schierati dalla
parte della tesi di A secondo cui B avrebbe agito male nei suoi confronti
e si sarebbe rifiutato di desistere, e se B dopo un periodo ragionevole si
è rifiutato o ha trascurato di riparare il male fatto, A verrebbe a
godere del privilegio insieme a C e a D di convocare un'assemblea della
Chiesa, alla quale sottoporre tutta la questione da parte di entrambi A e
B, poiché si deve supporre che se B è ancora associato con la Chiesa ne
riconosca il [416] consiglio e l'autorità e si deve assumere anche che B
sia coscienzioso. Quando la Chiesa ascolta la questione, non si deve
dimenticare che soltanto i giustificati
e i santificati costituiscono la Chiesa e che essi stanno giudicando
nel nome del loro Signore e Capo e pronunciano la sentenza
di costui. Il punto non è di fare una lotta di fazioni nella Chiesa,
ma di preservare la sua unità nei vincoli della pace. A e B non
dovrebbero sicuramente votare, né dovrebbe votare nessun altro a meno che
non abbia sentito un desiderio di esprimere il giudizio del Signore sulla
questione. La decisione dovrebbe essere unanime o tale all'atto pratico,
anche se ciò dovesse richiedere qualche modifica degli eccessi del
sentimento. Facciamo sempre in modo che la giustizia sia sempre mitigata
dalla misericordia: "Bada bene a te stesso, che talora anche tu non
sia tentato." Gal. 6:1
La
decisione della Chiesa deve essere accettata come finale da parte di tutti;
e chiunque si rifiuta di accettare e di adattarsi ai suoi requisiti in
tale questione di morale (non di coscienza) deve essere per gli altri
"come un pagano o un pubblicano" fino al momento in cui cesserà
di sfidare la Chiesa, allorché, certamente, sarà perdonato e ricevuto
pienamente nella comunione come prima. L'obiettivo non è quello di
abbandonare totalmente il fratello; ma semplicemente di mostrare
disapprovazione per quanto riguarda la linea di comportamento sbagliata
tenendo di vista che lo si vuole aiutare a correggerla. Trattarlo come
"un pagano o un pubblicano" non significherebbe diffamarlo o
disonorarlo anche dopo che fosse stato abbandonato. Il popolo del Signore
non deve essere diffamatore o calunniatore in nessuna circostanza; il
comando generico: "Non parlate male di nessun uomo" vale
esattamente per questo caso. Non dobbiamo né parlar male, né guardar
male pubblicani o peccatori, né rifiutare di ingaggiare in attività
commerciali con essi; invece dobbiamo sospendere la comunione speciale che
abbiamo con loro e l'affabilità che si addice ai fratelli della Nuova
Creazione e che è posseduta dallo Spirito santo e dal suo amore, dalla
sua gioia e dalla sua pace.
Se B si
rifiuta di prestare ascolto alla Chiesa e di desistere dal fare del male
ad A, e poi più tardi si pente e viene di nuovo ricevuto nella comunione
piena con i fratelli, ci si dovrà ricordare della sua insubordinazione
come un elemento che andrà contro di lui in caso ad un certo punto fosse
nominato per svolgere i doveri di Anziano. Dovrebbe [417] rivelare un
cambiamento risoluto prima di venir considerato idoneo per tale servizio;
poiché anche se fosse coscienzioso in tutto e per tutto, la sua linea di
condotta, a dir poco, prova che è piuttosto ottuso rispetto proprio a
quel punto dove sono coinvolti i suoi interessi personali. In verità,
rifiutare di tener conto del consiglio di tre fratelli ed aver bisogno di
sottoporre il torto alla Chiesa per l'aggiudicazione sarebbe
un'indicazione sfavorevole, anche se in seguito costui prestasse ascolto
alla Chiesa, obbedisse ad essa e facesse ammenda ad A.
Perdonate settanta volte sette volte
Si
supponga che quando A andò da B la prima volta per discutere
l'ingiustizia fatta ad A, la discussione si sia conclusa con il
riconoscimento da parte di B della propria colpa e con lo sforzo di
riparare il tutto al massimo delle sue capacità; o si supponga che costui
si sia pentito dopo la seconda visita di A insieme a C e D, quale dovrebbe
essere l'atteggiamento di A verso B? Costui dovrebbe perdonarlo e lo
dovrebbe fare con tutto il cuore. Può anche non imporre una punizione ma
può darsi che ricordi le parole: "A me appartiene la vendetta, Io
darò la retribuzione, dice il Signore!" Ma quante volte bisognerà
continuare a farlo? Quante volte dobbiamo perdonare se costui si pente?
Per quanto tempo dobbiamo sopportare le sue debolezze? "Sette volte?"
chiese Pietro. La risposta di nostro Signore giunge ugualmente anche a noi:
"Vi dico: non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette."
Dobbiamo perdonare i peccati degli altri come vorremmo che nostro Padre
nei cieli perdonasse i nostri peccati commessi contro la sua legge divina.
Se tentati di disdegnare nostro fratello a causa delle sue debolezze,
dobbiamo pensare alle nostre proprie debolezze e ricordare che colui che
non manifesta misericordia non riceverà nessuna misericordia.* Giacomo
2:13
__________
*Vedere,
inoltre, il Capitolo vi: "Disciplina nell'Ecclesia".
__________
Offese contro la Chiesa
Abbiamo
considerato la procedura adatta nel giudizio delle offese contro
l'individuo; ma in caso del fornicatore citato dall'Apostolo e in altri
casi supponibili, l'offesa potrebbe essere contro nessuno in particolare
dei membri dell'Ecclesia; ma
[418] contro tutti, contro la causa che tutti uniti rappresentiamo. Quale
dovrebbe essere il modo di procedere?
Potrebbe
essere lo stesso di quello adottato per il torto individuale, se il
peccato non è di dominio pubblico. Ma se la faccenda fosse nota al
pubblico, sarebbe dovere degli anziani citare in giudizio il trasgressore
davanti alla Chiesa, senza condurre le visite private preliminari; perché
il fatto che la faccenda sia di carattere pubblico ha posto la faccenda
stessa in una situazione che va al di là di una qualche composizione a
livello privato. Nello stesso modo, se si trattasse di un caso di
diffamazione contro gli anziani o uno di essi, l'udienza dovrebbe avvenire
di fronte alla Chiesa e non in forma privata; perché i diffamatori, se
hanno pensato in tutta coscienza di avere una buona causa, nondimeno hanno
dimenticato la regola del Signore ("Vai da lui da solo" e dopo:
"Prendi con te altri due o tre") e hanno diffuso storie
diffamatorie e scandalose, e quindi hanno
portato la faccenda al di là del potere di rettifica individuale e l'hanno resa
una questione per la Chiesa.
In tali
casi sarebbe appropriato che l'Anziano diffamato convocasse il Consiglio
degli Anziani quali rappresentanti della Chiesa, negasse le calunnie e
chiedesse che i diffamatori venissero accusati e replicassero alle accuse
di diffamazione e falsa testimonianza davanti alla Chiesa; poiché la loro
offesa è stata contro la Chiesa (1) nel senso che è andata contro le
regole stabilite dal Capo della Chiesa e contro la decenza e la buona
morale; e (2) poiché la diffamazione essendo rivolta contro un Anziano
scelto dalla Chiesa è stata una diffamazione contro tutta la Chiesa che
lo ha scelto. I diffamatori dovrebbero essere condannati, rimproverati e
si dovrebbe chieder loro di riconoscere l'errore compiuto; tuttavia dopo
aver fatto ciò costoro avrebbero diritto di procedere contro l'Anziano
che si suppone sia nell'errore, proprio come essi avrebbero dovuto fare
per prima cosa.
Dobbiamo tutti comparire davanti al tribunale di
Cristo
—II Cor. 5:10—
Il
"noi" di questo testo si riferisce senza dubbio alla Chiesa,
alla Nuova Creazione. Tuttavia non si deve confondere con il raduno di
"tutte le nazioni" davanti al Figlio dell'Uomo quando costui
verrà nella sua gloria e tutti i santi messaggeri con lui, [419] come
riportato in Mat. 25:31-46. Quando il Figlio dell'Uomo "siederà sul
trono della sua gloria" ha promesso che la sua fedele Ecclesia, la sua Sposa, prenderà parte a quel trono e a quella
gloria e parteciperà a quel giudizio Millenaristico delle nazioni,
inclusi "tutti coloro che sono nelle tombe".
Il
giudizio della Chiesa è illustrato e descritto chiaramente da nostro
Signore in Mat. 25:14-30 e Luca 19:12-26. Avrà luogo alla fine di questa
età e sarà la prima opera del Re al suo secondo avvento, prima che
cominci a trattare con il mondo. Dapprima farà i conti con i suoi propri
servitori, ai quali egli affidò varie amministrazioni di ricchezza e di
influenza, di talento e di opportunità, nel cui uso sono stati più o
meno fedeli, perseverando e sacrificandosi. Si debbono fare i conti con
tutti costoro e coloro che sono stati fedeli debbono essere ricompensati e
si deve dar loro il governo su due città, cinque città o dieci città,
designate in altre circostanze "le gioie del tuo Signore". Le
ricompense non saranno tutte uguali per quanto riguarda la gloria e
l'onore, sebbene tutte siano gloriose e onorabili. "Come un astro è
differente dall'altro in gloria" così saranno coloro che
condivideranno la Prima Risurrezione per la "gloria, l'onore e
l'immortalità". I Cor. 15:41
Gli
esami consisteranno in fedeltà, amore e zelo. Coloro che hanno talenti e
li nascondono nella terra, nel commercio, nel divertimento o nell'accidia,
riveleranno in tal modo la mancanza d'amore e di comprensione e, di
conseguenza, mostreranno di essere indegni del Regno e non entreranno
nelle "gioie del Signore" né sarà loro permesso di regnare con
lui nella benedizione del mondo.
[420]
"Il Signore sa come"
—II Piet. 2:9—
"Io
avrò fiducia e non avrò paura di nulla." Is. 12:2
"Le
nubi del temporale roteano attraverso l'orizzonte,
E del tuono si sente fragore su fragore:
I lampi dei fulmini sono vividi e spaventosi:
Eppure in questo seno non si agita mai la paura,
Poiché non sta scritto e non si vede dappertutto che:
‘Il Signore sa come trarre in salvo i Suoi!’?
"Il
luccichio della spada è visibile a distanza,
I gemiti dei feriti e moribondi sentiamo;
E guerra e spargimento di sangue si stanno facendo più furiosi:
Ma niente di ciò può svegliare una paura,
Poiché non sta scritto e non si vede dappertutto che:
‘Il Signore sa come trarre in salvo i Suoi!’?
"Il
nemico che combattiamo è scaltro e astuto,
E molte, invero, sono le insidie che ha teso:
Non siamo incuranti degli espedienti di Satana,
Sebbene non abbiamo paura delle sue tentazioni;
Poiché non sta scritto e non si vede dappertutto che:
‘Il Signore sa come trarre in salvo i Suoi!’?
"‘Il
Signore sa come’ anche se spesso siamo perplessi,
E per le nostre menti nessun sentiero è chiaro;
Ma siccome siamo guidati dalla Sapienza Infinita,
La parola che Egli ci ha rivolto non permette nessuna paura:
Poiché non sta scritto e non si vede dappertutto che:
‘Il Signore sa come trarre in salvo i Suoi!’?
"‘Il
Signore sa come’ è la nostra forza nella debolezza nostra,
La promessa della luce del sole,
Anche se appaiono le nubi del temporale;
Una sicurezza pacifica in mezzo ad ogni battaglia;
La via della fuga da ogni tribolazione e paura;
Poiché non sta scritto e non si vede dappertutto che:
‘Il Signore sa come trarre in salvo i Suoi!’?"